

Il decreto Zan è stato affossato dal voto segreto in Senato: oltre 40 sono stati i “franchi tiratori” e se ne hanno tracce un po’ in tutti i partiti. Si sapeva che i numeri erano ballerini e che difficilmente il provvedimento sarebbe stato in grado di sperare lo scoglio del voto segreto.
Ora si urla alla vigliaccheria di chi non ci mette la faccia, si accusa di vergogna, di inciviltà, di non essere al passo col Paese. A dire la verità il Paese non si è mosso più di tanto. Le tante voci scandalizzate sono arrivate soprattutto dai partiti e dai salotti televisivi, da gente che spesso non è proprio a contatto con la vita reale. Purtroppo si è andati avanti per slogan senza spiegare veramente quale fosse l’oggetto del contendere. Da più parti, dal Vaticano e dai Vescovi, erano state date indicazioni che con piccole variazioni potevano dare un senso diverso al decreto.
Ma proprio qui sta il punto. L’articolo 1 è dedicato alle “definizioni” – sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere – col risultato di riscrivere la natura umana per legge. Operazione problematica, anche perché chi non condivide che “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione” rischia il carcere.
Si è chiesto di togliere dal testo “l’identità di genere”, che sa tanto di teoria gender. Ma se ne è fatta una bandiera anche se la dicitura non è del tutto comprensibile. Inoltre all’art. 4 si prospetta il reato di opinione quando si dice “ai fini della presente legge sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. ‘Fatte salve’ suona come una concessione, quando invece la Costituzione le dichiara “diritti”.
Poi c’è la difficoltà di stabilire quali siano le scelte non idonee a determinare… Una legge dovrebbe essere più precisa nel definire i contorni dei reati e non lasciarla in mano al giudice di turno. Potrebbe diventare difficile anche parlare di famiglia composta da uomo e donna. È una legge fatta male. Se poi si va al tema della Giornata contro l’omofobia nella quale si deve parlare, nelle scuole, anche dell’identità di genere diventa chiara l’intenzione di incidere sul modo di pensare e di concepire la sessualità.
Il card. Parolin, non proprio l’ultimo arrivato in materia giuridica, ricorda: “La nostra preoccupazione riguarda i problemi interpretativi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un testo con contenuti vaghi e incerti, che finirebbe per spostare al momento giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è. Senza però dare al giudice i parametri necessari per distinguere”. Non si è voluto ascoltare nessun consiglio. Forse invece di accusare si dovrebbe fare qualche esame di coscienza e rendersi conto che il dialogo può essere più utile del tifo da stadio.
Giovanni Barbieri