Se la sclerosi multipla diventa compagna di vita

Gaia Presotto ha 27 anni e dal 2013 vive con la malattia “La mia non è una battaglia, altrimenti avrei già perso”

È il settembre 2013. Dopo la maturità, Gaia Presotto (oggi 27 anni) si prepara per il tradizionale viaggio post diploma, quando il suo corpo le lancia un segnale. Gaia perde la sensibilità a una parte del dito della mano e la madre, preoccupata, le fa svolgere le visite del caso. Al rientro dal viaggio, la diagnosi: è SM-RR, Sclerosi Multipla Recidivante Remittente, una forma in cui si alternano periodi con sintomi e periodi senza. “Dovevo iniziare due vite nuove: una con la sclerosi multipla e una all’università – ci racconta Gaia – e per i primi anni era molto difficile riuscire a bilanciare tutto. Queste situazioni devi provarle sulla tua pelle per capirle”.
La svolta arriva durante l’ultimo anno di università, quando la studentessa crea “Giornate di sclero”, il canale YouTube in cui racconta la sua vita con la sclerosi multipla: “volevo dare ai neo-diagnosticati e a chi aveva incontrato la SM ciò che io non avevo trovato quando avevo 18 anni”.
“Io non ho avuto una Gaia Presotto, forse non l’ho nemmeno cercata – confessa – perché pensavo di dovercela fare da sola”. Nei suoi video racconta di come la sclerosi multipla non è altro che una “compagna”, di come “la vita non è peggiore, è semplicemente diversa”, di quanta organizzazione serva per affrontarla, ma anche di come dia la possibilità di concentrarsi su sé stessi. Insomma, di come bisogna affrontare attivamente la malattia, senza rimanere schiacciati, perché “so che la mia vita non è finita qua”.
Ma la determinazione di Gaia si scontra con una società che “non è studiata per l’inclusione” della disabilità. Il problema principale risiede nella comunicazione, errata se non del tutto assente: “servirebbe portare nelle scuole questi argomenti, non c’è proprio una cultura su questi temi”. E da questo vuoto comunicativo scaturiscono quei “micro-ostacoli”, fisici e non, a cui la società deve imparare a fare attenzione.
“Ad esempio qui (a Milano) i negozi hanno tutti un gradino all’entrata. Tu non dovresti nemmeno porti il problema se mettere la rampa, deve essere scontato. Poi non puoi essere attento a tutto, ma l’importante è imparare dai propri errori”. Un problema, questo, che Gaia dice essere proprio degli italiani, che “nella loro testa pensano di dare una mano aiutando a sollevare la carrozzina” e che vedono i problemi solo nel momento in cui li hanno davanti, dimenticandoli subito dopo.
Ma i disabili “non sono bambini, metti una rampa! Tu dammi qualche aiuto in più, poi ti faccio vedere che vivo come tutti gli altri”, protesta. Gaia la sedia a rotelle non l’ha mai usata, eppure il pensiero dei più associa meccanicamente il nome della malattia a una carrozzina. Ma non è così, “magari non ci arriverò mai alla sedia a rotelle”. È un problema di ignoranza nel senso etimologico del termine: se non conosciamo qualcosa spesso ci facciamo un’idea sbagliata, influenzati dai troppi stereotipi che Gaia, per quanto riguarda la SM, sta provando a spiegare e a sradicare.
“C’è bisogno di parlarne tanto e di parlarne bene” perché troppo spesso la “disabilità è vista come un qualcosa di sbagliato e di peggiore, ma diverso non vuol dire peggiore”. Una concezione che nasce soprattutto dalla paura di ciò che non conosciamo e dal quale, ad esempio, vogliamo proteggere i bambini. Gaia spiega come sia controproducente nascondere la disabilità di qualcuno e propone piuttosto di “spiegare ai bambini che a causa di questa disabilità quella persona non cammina come fanno loro”. Così da creare una mentalità pronta ad accogliere quel genere di situazioni.
Certe volte alla disabilità in sé si aggiungono sguardi e opinioni dei passanti a peggiorare la situazione: “alcuni farmaci provocano l’arrossamento della pelle” spiega Gaia, “e per qualcuno sono più invalidanti gli sguardi delle persone che ti guardano perché “hai qualcosa che non va”. Oppure spesso c’è la concezione che “se non vedo che hai una disabilità allora va tutto bene”.
Non vogliamo essere innalzati a eroi né vogliamo gli sguardi pietosi dell’ ‘oddio poverina’ dice Gaia, “sono due forme diverse della stessa esclusione”. Nonostante tutto, il vento sta soffiando verso il senso giusto: “i giovani li vedo già più sinceri e inclusivi. Mi auguro si vada verso quella direzione”. E grazie al suo lavoro di consulente d’azienda Gaia ha capito che “in azienda le persone con disabilità sono fondamentali perché hanno un livello di problem solving molto alto e che oggi i giovani vogliono lavorare in aziende di cui condividono i valori”, specialmente in tema di disabilità e di parità dei sessi.
Gaia non sta combattendo una battaglia, perché “non è una battaglia, se la fosse la malattia avrebbe già vinto perché non esiste una cura”. La SM è la sua compagna di vita. E come con qualsiasi disabilità o evento sfortunato della vita “non bisogna essere pronti, nessuno è pronto. Tutto sta in come vuoi reagire. Io ho la sclerosi multipla. E quindi?”.

Andrea Mori