Domenica 4 luglio – XIV del tempo ordinario
(Ez 2,2-5 – 2Cor 12,7-10 – Mc 6,1-6)
Gesù insegna nella sinagoga, e scaturiscono domande, domande che camminano la giusta direzione del riconoscimento: da dove vengono queste cose? È domanda da pellegrino, da viandante, è già desiderio di mettersi in cammino, è desiderio di liberarsi dalle convinzioni che non ci sia niente di buono fuori dallo spazio angusto di ciò che già conosco. E che sapienza è mai questa che gli è stata data? Anche la seconda domanda è un invito a spiccare il volo, cercano altrove muovendo i passi da un uomo che intuiscono nuovo rispetto ai loro ricordi. E i prodigi compiuti dalle sue mani? Anche quelle mani che portano i segni di un lavoro imparato tra le mura del paese iniziano a parlare e ad accompagnare altrove. È un miracolo quello che sta avvenendo è percorrere il simbolico pellegrinaggio che dalle cose visibili ci porta a fare esperienza delle cose invisibili o meglio, è il riconoscimento che il visibile è scrigno della premura del Dio invisibile che si è reso prossimo. È sapienza, saggezza, è fede. Le prime tre domande dei compaesani di Gesù sono un itinerario perfetto di fede. È il quarto interrogativo che rovina tutto. Un’altra domanda. Ma stavolta senza i segni dello stupore, senza il coraggio di imparare traiettorie nuove, senza la nostalgia delle partenze, senza il fascino del mistero. E quindi la quarta, senza queste prerogative, non è una domanda ma un’affermazione con un (falso) punto interrogativo in fondo. E questa basta a sconfiggere ogni possibilità di volo, basta una frase ricca di nomi e di particolari, ricca soprattutto di volti già conosciuti. Gesù è evidentemente diverso da come lo conoscevano ma Maria, Giacomo, Ioses, Giuda e Simone, quelli no. Quelli sono gente del posto, ancorata a un confine, legata a doppio nodo agli interessi di una comunità, quella che crede di conoscerti perché sa narrare i tuoi difetti. Quei nomi propri sono sassi lanciati contro un volo appena sbocciato che stava rischiando di portare troppo lontano. Sono àncore pesantissime a impedire alla nave di prendere il largo. Sono il “conosciuto” che impedisce l’accesso al mistero. Noi sappiamo chi sei e la strada si interrompe. Noi ti conosciamo già, noi sappiamo tutto di te. E la meraviglia si tramuta in scandalo. Basta illudersi di non avere bisogno di conoscere altro per essere felici, basta convincersi che della vita e di Dio già si conosce tutto che il volto di Gesù diventa scandalo. Cioè inciampo. E dà fastidio.
don Alessandro Deho’