Il 9 maggio 1945 è la data ufficiale della fine della Seconda Guerra Mondiale in Europa
Dall’1 settembre 1939 al 9 maggio 1945 l’ Europa fu insanguinata, e il Giappone lo sarà fino ad agosto. I vinti in Europa firmano la resa senza condizioni: l’1 maggio 1945, dopo negoziati segreti e non autorizzati, il comandante generale delle forze tedesche in Italia ordina la fine delle ostilità; il 2 maggio a Reims i tedeschi si arrendono agli anglo-americani e Berlino è consegnata all’Armata Rossa, un secondo atto di resa è voluto da Stalin e firmato a tarda sera quando a Mosca, per differenza di fuso orario, era già il 9 maggio, data ufficiale della fine della guerra.
Se avessimo sorvolato l’Europa e tante altre parti del mondo avremmo trovato cadaveri, lacrime, campi di sterminio, macerie, profughi e ogni disastro provocato dalla più feroce guerra della storia. Le responsabilità fondamentali e indiscutibili sono dei dittatori sanguinari sedicenti “guide” dei popoli, invece li portarono alla rovina insieme a loro stessi.
La realtà storica non ha però distinzioni così nette tra buoni e cattivi, tra vinti e vincitori. Le potenze che sventolavano le bandiere della vittoria, consapevoli o no, avevano lasciato crescere i mostri delle ineguaglianze sociali e delle crisi economiche, dello sfruttamento coloniale, del razzismo, del mito dell’uomo forte capace di risolvere tutti i problemi.
Era successo ancora poco prima dell’inizio della guerra alla conferenza di Monaco, quando i capi di governo francese e inglese (miopia o opportunismo?) si fecero ingannare dalle menzognere parole di pace di Hitler e del duce italiano. Le generazioni nate nel dopoguerra della democrazia rimangono stupefatte davanti a immagini di piazze stracolme di persone osannati al capo, alle sfilate di truppe in divise e gesti tutti uguali, visibile professione di pensiero unico. Anche le bombe degli Alleati fecero strage di persone o cose, ciò non toglie però di essere chiari nelle scelte di campo: l’impegno per la democrazia e la libertà fu il bene, i regimi dittatoriali produttori di guerra furono il male.
I morti sono calcolati in 50 milioni,
135 milioni i feriti, 12 milioni i profughi.La Germania smembrata, nel 1949 divisa in due Stati contrapposti, l’economia distrutta. L’URSS, che aveva pagato il prezzo più alto in vite umane, volle intere fabbriche tedesche, le più importanti le portò in Russia, i danni di guerra se li fece pagare in materie prime. L’Italia repubblicana era già nata e si stava dando una Costituzione democratica, ma quando il 10 agosto 1946 De Gasperi capo del governo ebbe la parola alla Conferenza di pace, fu considerato rappresentante di un paese sconfitto e colpevole di cobelligeranza coi tedeschi. Denunciò un trattato imposto e molto duro e rivendicò che certamente il fascismo fu rovesciato dai militari Alleati, ma determinanti furono la lunga cospirazione dei patrioti, gli scioperi politici, l’azione clandestina degli oppositori antifascisti. L’Italia si è liberata da sola dal fascismo rivendicò De Gasperi e la forza che conserva la festa della Liberazione ne è la prova. Il trattato tuttavia fu punitivo: cessione di territorio al confine francese, l’Istria tranne Trieste, Zara e tutte le isole della Dalmazia cedute alla Jugoslavia, restituita la sovranità all’Albania, Rodi e il Dodecaneso alla Grecia, 100 milioni di dollari da pagare a Mosca come danni di guerra e cifre da stabilire con gli altri paesi. In Italia i salari reali erano diminuiti del 50%, il Pil del 45%, ridotte le capacità produttive tanto da non poter acquistare all’estero cibo e materie prime. Eppure ce l’abbiamo fatta e “ce la faremo” ancora. (m.l.s.)
Tra le macerie ad essere in sofferenza fu anche la cultura. Elio Vittorini – grande narratore del Neorealismo che nel libro “Uomini e no” grida l’orrore delle stragi a Milano delle bande fasciste Muti e Cock – nel settembre 1945 fonda il settimanale Il Politecnico, la testata ripete l’altro Politecnico di Carlo Cattaneo repubblicano federalista, uscito a Milano dal 1839 al 1845 e fu il periodico più importante di scienza e cultura applicata alla prosperità sociale di tutta l’Europa. Nell’editoriale del primo numero Vittorini invoca l’urgente necessità di Una nuova cultura, non soltanto che consoli nella sofferenza, ma una cultura che protegga dalla sofferenza, che la combatta e la elimini.
La cultura grandiosa dell’Occidente, nel suo percorso classico, umanistico, illuminata dalla spiritualità cristiana, è stata ed è una grande forza che ha generato mutamenti molto positivi, “ma quasi solo nell’intelletto degli uomini”, non si è identificata in modo efficace nella società, ha consolato ma non ha impedito il male. Primo bisogno è conservare la vita, ma la Pittura, la Scultura, l’Architettura, la Musica, la Poesia e le altre arti dell’immaginazione scaturiscono da un bisogno non meno imperioso di quello della sussistenza. Sono riflessioni che hanno una coloritura di militanza marxista (ma non “ortodossa” e fu per questo che il periodico ebbe vita breve, chiuso da Togliatti con l’accusa di volere una cultura “enciclopedica e di astratti furori”).
La chiamata per gli intellettuali ad operare per il rinnovamento del proprio paese ha dato forza alla speranza e ha contribuito in modo significativo a far nascere in pochi anni una nuova Italia, rigenerata, che seppe uscire dal fascismo e dalla guerra, si inserì nel contesto europeo e mondiale da cui era stata esclusa e la cultura guidò abbastanza la politica anziché docilmente suonarne il piffero.
Maria Luisa Simoncelli