
Le conseguenze economiche rischiano di mettere in secondo piano il dramma umano e sanitario

Può il battito d’ali di una farfalla scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza? Sì, secondo le ricerche in fisica matematica sviluppatesi a partire dagli anni ’60 del secolo scorso: se un parametro atmosferico varia, tutti gli altri variano di conseguenza ed in modo sproporzionato rispetto alla variazione iniziale. Quello che viene definito “effetto farfalla” – gli scienziati e la storia lo hanno dimostrato – si verifica anche nelle relazioni sociali, in modo sempre più intenso e rapido mano a mano che il mondo si integra in un grande “villaggio globale”.
Le conseguenze di un fenomeno umano possono avere affetti dirompenti e imprevedibili in altri luoghi del pianeta senza che nessuno riesca a prevenirne gli effetti. È la “teoria del caos” che anche in queste settimane stiamo verificando a livello economico. Nel corso del World Economic Forum di Davos, a metà gennaio, il Fondo Monetario Internazionale, forte di un modello econometrico di centinaia di equazioni che incorporano milioni di dati, aveva annunciato, per il 2020, una stima di crescita del 3,3% della ricchezza prodotta a livello mondiale rispetto al 2019.
Si trattava di previsioni così accurate da avere già incorporato, ad esempio, i riflessi delle tensioni sociopolitiche emerse in India a fine 2019, la crisi iraniana, ma anche l’accordo commerciale stipulato di recente tra Stati Uniti e Cina dopo le tensioni protezionistiche degli ultimi due anni e le decisioni di politica monetaria nell’area del dollaro e dell’euro.
Poi che accade? In una regione della Cina si diffonde un’epidemia; il virus mostra un preoccupante livello di contagiosità e di mortalità e inizia a diffondersi al di fuori del Celeste Impero. Ne fanno le spese immediatamente i flussi turistici, i voli arei e le relazioni commerciali: grandi aziende cinesi sospendono la partecipazione a fiere internazionali, la ripresa delle attività produttive, all’indomani delle festività del Capodanno cinese, viene sospesa in almeno 24 province, mentre la Banca centrale, prevedendo il ricorso al credito da parte delle imprese messe in difficoltà, per scongiurare tassi di interesse troppo alti, ha iniziato a introdurre nuova liquidità nel sistema economico, avendo come primo effetto un aumento dell’inflazione. Stiamo parlando degli effetti di un Paese che rappresenta, da solo, il 16% dell’economia globale: secondo alcuni studi, ogni punto percentuale in meno di crescita cinese determina una minor crescita economica nel mondo pari a 0,3-0,4%.
Ne conseguirebbe che l’aumento del Pil nel mondo non sarebbe del 3,3% previsto dall’Fmi, ma solo dell’1,8%. La differenza si traduce in più disoccupati, più povertà e maggiori tensioni sociali in Paesi anche molto lontani. Ma le interdipendenze nel mondo contemporaneo non finiscono qui.
La Cina non è solo un mercato di sbocco delle produzioni occidentali, ma è diventato l’anello più importante nella catena della produzione globalizzata di beni. La Repubblica Popolare non è solo esportatrice di beni a bassissimo costo commercializzati online da Alibaba o esposti sugli scaffali delle botteghe cinesi in Europa; al contrario i suoi prodotti semilavorati sono oramai indispensabili alle fabbriche di tutto il pianeta: uno stop prolungato alla produzione a Whuan (11 milioni di abitanti) e nella provincia dello Hubei, cuore dell’industria nazionale, potrebbe avere effetti preoccupanti nel resto del mondo.
Da quando è stato annunciato l’arrivo del coronavirus, il prezzo del barile di petrolio è caduto del 15%, il che lascia presagire una riduzione della domanda di trasporti e di energia per produzioni industriali, sia in Cina, primo importatore mondiale di greggio, sia nel resto del mondo. Per questo, secondo molti analisti, è probabile che l’Organizzazione di Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) annunci tagli alla produzione, per sostenere i prezzi.
Lo stanno chiedendo apertamente l’Iran e l’Arabia Saudita, mentre la Russia si opporrebbe al taglio della produzione perché lo Stato ha bisogno delle entrate economiche dalle compagnie petrolifere, prima voce delle entrate del bilancio federale: parliamo di tre protagonisti dell’incandescente scacchiere mediorientale, culla di tutte le principali tensioni internazionali.
È l’“effetto farfalla” di cui parlavamo: non nuovo nella storia economica, ma amplificato in maniera decisiva dalla globalizzazione e dalla sua assenza di governo. Una nuova recessione globale – sarebbe la prima della storia a non nascere negli Stati Uniti – darebbe ulteriore fiato a chi pensa che un ritorno utopico alle economie nazionali, fatto di protezionismo, impedirebbe il sorgere di questi problemi. Al contrario, se si vogliono evitare gli effetti caotici di un mondo integrato ma senza regole, è tempo di maggiore cooperazione: in campo politico ed economico ma prima di tutto sociale e sanitario, essendo la vita degli infettati dal coronavirus, di qualsiasi nazionalità essi siano, più preziosa delle oscillazioni del Pil.