Domenica 26 gennaio, III del Tempo Ordinario
(Is 8,23-9,3; 1Cor 1,10-13.17; Mt 4,12-23)
All’inizio è Parola arrestata. All’inizio è il Battista chiuso in carcere. All’inizio è l’ennesima vittoria del potere sulla verità. All’inizio, il Vangelo, parla di fine: di felicità che si inceppa. Come sempre. Come quasi sempre. Perché stavolta la frase non arriva al punto, il dramma non riesce a compiersi: Sorge, Gesù, e il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce.
Sorge, Gesù, camminando nelle tenebre di un mondo che continua a rifiutare i profeti. Sorge, seme incandescente, ad aprire di speranza il confine tra terra e acqua: camminava lungo il mare di Galilea. Cammina e sorge Gesù, iniziando da uno sguardo, il suo, che riconosce il seme fecondo della fraternità: vide due fratelli, Pietro e Andrea.
La speranza, per sorgere, si aggrappa ai nostri tentativi di fraternità, è nello stare, insieme, ad affrontare la vita anche nella sua monotona durezza: i due fratelli gettavano le reti in mare: erano infatti pescatori. I due fratelli strappavano sopravvivenza dal quotidiano: erano infatti uomini, come tutti noi.
Erano infatti pescatori. Pietro e Andrea forse aspettavano qualcuno in grado di aprire loro il significato profondo della loro storia, non lo sappiamo, quello che sappiamo è che Gesù arriva. E i due fratelli si fidano. Ed è entusiasmo, chiamata giovanile. A volte invece le reti sono inutilizzabili: Giacomo e Giovanni, nella barca, riparavano le reti.
Ed è altro tipo di chiamata. E’ vivere la vita adulta, spesso amara. Vita di chi, dopo avere gettato con passione reti in mare, si accorge di aver usurato le reti stesse. Ogni rete porta gli strappi della propria e altrui debolezza, ogni rete porta la consapevolezza del proprio limite, del proprio peccato.
Non è più il tempo in cui si aveva fiducia nella forza del lancio, eppure anche lì arriva la chiamata. Anche in quei momenti uno sguardo ci illumina, una voce ci raggiunge, una speranza si apre. Anche sulle nostre reti da riparare arriva il Vangelo. La fede non è solo l’entusiasmo degli inizi ma è anche la fedeltà della resistenza, fedele, alla vita. Certo, per resistere, bisogna innamorarsi del gesto paziente del pescatore che ripara le reti…
E poi è sequela. Cammino. Pescatori a insegnare nelle sinagoghe. Pescatori di periferia ad annunciare il Regno. Pescatori a guarire l’umanità. Pescatori, uomini, non perfetti però credibili. Credibili nel chiamare alla vita perché loro stessi sono stati uomini chiamati. Trascinati fuori dal non Senso grazie alla rete del Vangelo. Uomini credibili perché hanno creduto di poter diventare uomini secondo il vangelo. Uomini credibili perché uomini. Umanizzati a partire da una chiamata, inaspettata, in un giorno di solo sulle rive del mare di Galilea.
don Alessandro Deho’