
L’interessante conferenza di Alberto Crispo all’UniTre Pontremoli. Tra artisti affermati e botteghe artigiane, la difficile impresa di identificare autori di pitture anonime

Alberto Crispo storico dell’arte all’Università di Parma aveva anni fa indagato su una pala d’altare della chiesa di San Francesco a Pontremoli già catalogata di autore anonimo del sec. XVII. Si tratta della Assunta contemplata da San Francesco, Santa Maddalena, Sant’Andrea di Avellino, San Luigi Gonzaga, San Carlo Borromeo, nella navata destra, ultimo altare prima del transetto.
Alberto Crispo, anche sulla base delle ghirlande di angioletti dipinti sullo sfondo, messe a confronto con pitture del cremonese Panfilo Nuvolone, assegna a questo artista la pala presente nella chiesa di Pontremoli e con tale paternità Luciano Bertocchi la dichiara nell’inserto speciale del Corriere Apuano del 27 settembre 2003 pubblicato per la celebrazione dei 500 anni della dedicazione della chiesa, mentre in un volume del 1994 ancora la diceva di Anonimo.
Per L’Università delle Tre Età Pontremoli – Lunigiana giovedì 7 novembre Crispo ha parlato di “problemi e strategie della ricerca nel campo della natura morta barocca”, esponendo un suo studio e le tante esplorazioni, a volte casuali, che lo hanno portato a dare la paternità a Reynaud Levieux, pittore di nature morte tra Roma e la Francia, di molti quadri su un totale di circa 70 a lui attribuibili e alla sua bottega. Levieux (Nimes 1613-Roma 1699) figlio di pittore di vetrate ha fatto nature morte di diversa qualità, alcune sono anche oggi sul mercato dell’arte.

Crispo ha premesso nella sua relazione quanto sia difficile l’analisi attributiva di paternità di opere rimaste anonime, un lavoro paziente e forse noioso, come un po’ noiosa diventa anche l’esposizione agli ascoltatori dei meccanismi produttivi nel Seicento e dei metodi di analisi oggi praticati. Le nature morte, già presenti nella pittura classica, cariche di simboli religiosi nel Medioevo, in bella vista nelle pitture concentrate sull’uomo nel Rinascimento, nel Seicento diventano soggetto protagonista esclusivo. Una novità e sublime creazione è la Canestra di frutta del Caravaggio alla Pinacoteca di Brera di Milano.
Con accurate, limpide e realistiche raffigurazioni agli oggetti destinati a morire il pittore, lanciando una sfida alle leggi della natura, dà l’eterna vita dell’arte. È proprio della visione barocca del mondo cogliere la varietà, la novità, il trasformarsi e il morire di tutte le cose; il genere pittorico della natura morta, preferito dai fiamminghi e dai tedeschi (anche perché le immagini sacre erano rifiutate dai protestanti), ovunque si colloca nel nuovo contesto culturale della ricerca scientifica nel Seicento; l’invenzione del microscopio permetteva di studiare molto bene animali e piante.
Le botteghe artigiane firmate Zanardi, Stanchi, Angelo Maria Rossi producevano opere apprezzate per decorare le dimore dei potenti, in particolare le “ville delle delizie” delle residenze di campagna. Il genere pittorico della natura morta è portato ad esiti di stupefacente originalità nella raffigurazione di volti umani costruiti con oggetti dell’orto e con fiori da Giuseppe Arcimboldi.
Le nature morte proiettate nella lezione Unitre non destavano emozioni, ripetitive di modelli predisposti e di apparati tecnici: una pittura di maniera, seriale, quasi industriale, senza esiti dell’immaginazione quella uscita dalla bottega di Reynaud Lesieux. Sono quadri ridondanti di cose disposte su vari piani: fiori, frutti, violoncello, cagnolino, porcellino d’India, pesci grandi e piccoli, qualche busto statuario; nella serie di Allegorie delle stagioni sono dipinti i relativi segni zodiacali che giustificano l’appellativo di Lesieux “maestro dei segni zodiacali”. Il genere della natura morta continuò ad essere praticato in varietà di stile, nel Novecento arriva alla pura essenzialità di bottiglie, caraffe, fruttiere di Giorgio Morandi giocate su sapienti variazioni tonali.
Maria Luisa Simoncelli