Le Acli: un Paese bloccato e da rimettere in moto

Dalle Acli valutazioni positive sui mutamenti di toni del nuovo governo. “In Italia il sistema si è inceppato: non si fanno figli, è difficile investire, i migliori cervelli se ne vanno all’estero e la coesione sociale è a rischio”. Rivedere il patto fiscale, il sistema previdenziale e investire in formazione.

35AcliLa principale sfida per il nuovo governo è rimettere in movimento un Paese bloccato. In sintesi è questo il messaggio che viene da Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli, presente a Bologna al 52° Incontro di studi – “In continuo movimento. Le Acli, la mobilità sociale e la democrazia” è il tema – che l’associazione organizza ogni anno nel mese di settembre. “
Il Pil cresce in percentuali irrisorie, non si fanno figli, è difficile investire, i migliori cervelli se ne vanno all’estero. Il sistema si è inceppato”, sottolinea Rossini al SIR. Si è bloccato anche il cosiddetto ascensore sociale. “In Italia nel migliore dei casi resti quello che nasci. Per un bambino di una famiglia a basso reddito – osserva – ci vogliono cinque generazioni per entrare nel ceto medio e anche chi è nato in una famiglia di classe media si trova spesso a fare esperienza di una qualche forma di declassamento”. In una situazione del genere “la coesione sociale è a rischio” e si pone “una questione democratica fondamentale”, come dimostra l’insorgere e il radicarsi del populismo. Il tema resta valido anche se nel frattempo il panorama politico è mutato rispetto a quando la scelta è stata fatta perché “le tendenze in atto non sono nate ieri. E a ben vedere al nuovo governo chiediamo – non per noi, ovviamente, ma per il Paese – le stesse cose che avremmo chiesto al precedente”.

Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli
Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli

Rossini pone l’accento su tre esempi, tutti in qualche modo legati all’ambito del lavoro, la grande questione sociale del Paese. Per quanto riguarda il sistema fiscale, c’è bisogno di rivedere il patto fiscale tra il cittadino e lo Stato, per porre rimedio al fatto che il carico delle tasse continui a pesare in larga misura sui ceti popolari e i lavoratori dipendenti. L’idea di fondo, che vale anche per i lavoratori autonomi, è di aiutare quelli che le tasse le pagano, non quelli che non le pagano.
Poi c’è il sistema previdenziale. Precisa il presidente: “Noi non abbiamo dato un giudizio negativo su quota 100, ma deve essere chiaro che si tratta di una scorciatoia. Il nostro sistema pensionistico è ancora quello di quando si cominciava a lavorare presto e, spesso, si rimaneva tutta la vita nella stessa azienda. Adesso il problema è assicurare una pensione anche a chi trova un’occupazione in ritardo, a chi svolge lavori precari o comunque discontinui, alle stesse partite Iva”.
Il terzo punto, secondo le Acli il più importante dal punto di vista strategico, è la formazione professionale. “Inutile girarci intorno, afferma Rossini, la formazione professionale è lo strumento migliore per ottenere un lavoro e se non si torna a investire in questo settore gli sforzi per combattere la disoccupazione rischiano di essere vani o irrilevanti. Tra l’altro il sistema della formazione professionale è articolato su base regionale e questo rende possibile modulare gli interventi in maniera molto più mirata”.
Perplessità ci sono anche sul reddito di cittadinanza: “Credo che sia necessario fare un tagliando a questa misura, dopo la prima fase di applicazione. Magari recuperando il coinvolgimento del terzo settore nella progettazione locale e distinguendo meglio le politiche contro la povertà dalle politiche attive del lavoro”. Resta poi da definire la riforma dei centri per l’impiego.
Quanto all’impostazione programmatica del nuovo governo, riconosce che “c’è stato un cambio radicale nel tono” ed esprime una valutazione positiva sul riferimento a un ‘nuovo umanesimo’ e agli obiettivi dell’agenda 2030 dell’Onu. “In particolare, poi, mi è sembrato degno di nota il richiamo al superamento delle disuguaglianze che in Italia ci sono, eccome. Se ne parla poco, ma ci sono”.
Il cambio di atteggiamento dei vertici politici italiani nei confronti della Ue ha creato nuove prospettive anche per quanto riguarda lo spinoso problema dei flussi migratori: “L’idea che tale questione possa essere affrontata dall’Italia da sola chiudendo qualche porto era ed è semplicemente ridicola: aver recuperato un rapporto positivo con l’Unione può aprire la strada alla collaborazione necessaria per affrontare i problemi in modo ordinato e condiviso. Sul piano interno, comunque, vanno aboliti i decreti sicurezza – che oltre a tutto il resto si stanno anche rivelando inefficaci – e bisogna riprendere a lavorare sui percorsi di integrazione”.