Domenica 28 luglio. XVI del tempo ordinario
(Gen 18,20-32; Col 2,12-14; Lc 11,1-13)
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: ‘Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli’. Li aveva amati per quello che erano, gente di periferia con il cuore in tumulto. Avevano vissuto insieme per un bel po’, e avevano sentito nascere in loro quel desiderio. Glielo chiedono in un momento particolare, dopo che aveva pregato. In quei momenti appariva diverso: il suo sguardo più acuto, le sue parole più clementi. Sarebbe bello diventare come Lui. “Quando pregate, dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno”.
La differenza fra le varie forme di idolatria e la fede cristiana è che agli idoli ci si rivolge per propiziarseli, e per ottenere qualche vantaggio. Invece il Figlio Gesù ci insegna che la preghiera rivolta a Dio consiste, prima di tutto, nel far crescere il nostro rapporto con Lui, esprimendo la nostra confidenza e la nostra fiducia. Ci affidiamo alla sua volontà, proclamiamo la nostra disponibilità ai suoi progetti sulla nostra vita. Il Suo cuore è grande, ma ci chiede in dono il nostro, rinnovato dalla conversione.
Senza questa disponibilità, l’orazione è debole. La preghiera di domanda è una conseguenza della relazione col Padre: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.” Prima di tutto è necessaria la fiducia in Dio, e l’umile disponibilità a fare sempre la sua volontà. “Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani…”. A forza di insistere l’amico glieli darà, per levarsi l’importuno dai piedi, e riprendere il riposo. Per il Signore non è così: ha tempo per qualsiasi richiesta gli venga rivolta. La giusta misura è l’insistenza: tutto dipende da Lui, ma noi dobbiamo fare la nostra parte.
La domanda deve essere assidua, determinata e perseverante. Ma non risponde ad un’esigenza di Dio. Non è lui che ha necessità di essere supplicato: noi piuttosto abbiamo bisogno di chiedere, perché siamo mendicanti fragili, ma non vogliamo riconoscerci tali. È necessario che purifichiamo la nostra ricerca, per ottenere ciò che è vitale: che si apra una porta, per incontrare chi ci accoglie.
Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!. Noi umani siamo cattivi, a causa dell’istinto a pensare a noi stessi, e ad affermarci a scapito degli altri. Nonostante questo, a volte, siamo capaci di azioni buone, almeno nelle relazioni familiari. A maggior ragione Dio, “il solo buono” darà cose buone a chi gliele chiede. Sovente, nella storia della Chiesa, anche recente, abbiamo descritto Dio come un giudice severo, vendicativo e perverso. Il Figlio Gesù ci racconta un Padre più buono di quelli che abbiamo conosciuto. Nella preghiera non c’è bisogno di altisonanti proclami, né di verbosi rendiconti.
Poche parole: la santificazione del nome, l’attesa del mondo che Dio vuole per noi, il lavoro per un pane che vinca la fame di tutti, il desiderio del suo cuore misericordioso, l’aiuto per essere preservati dal morso della tentazione. La prima parola è Padre, l’ultima è male, a rimarcare una distanza infinita. I fratelli possono anche uccidersi, è già successo, ed accadrà di nuovo. Ma la fraternità generata dal Padre continua a essere e un progetto alla nostra portata. Non siamo condannati al male. La misteriosa bellezza della stringata sobrietà del Padre nostro è insuperabile.
Pierantonio e Davide Furfori