
Tanti i fattori di grave crisi: dal trattato di pace di Parigi del 1919 l’Italia conseguì risultati modesti; ebbe Trento e Trieste e l’Istria ma non Fiume, la Dalmazia, zone dell’Anatolia e ingrandimenti coloniali; aspri i contrasti col presidente americano Wilson e freddi i rapporti con Francia e Gran Bretagna,i delegati italiani abbandonarono la Conferenza ma senza risultati sostanziali. Fiume fu occupata da D’annunzio creando una questione internazionale. Sul piano sociale accese le tensioni.
Gli operai avevano qualche difesa sindacale, ma i contadini, la massa dei soldati nella guerra, rimanevano molto poveri e non ebbero la promessa riforma agraria. La piccola e media borghesia, che aveva fornito i quadri degli ufficiali e le professioni, era delusa, con difficoltà economiche e senza lavoro. La grande borghesia era la vera beneficiaria della guerra con le imponenti commesse belliche.
Il deficit finanziario era pauroso, la lira sempre più depressa, polverizzati i risparmi medi e piccoli, notevole aumento delle tasse.
I socialisti speravano di ottenere il potere e di socializzare i mezzi di produzione sul modello dei soviet russi. Per contrastarli il Vaticano acconsentì a formare il PPI partito dei cattolici. Il PSI, la CGIL, le Camere del lavoro promossero l’occupazione delle fabbriche nel “biennio rosso” 1919-1921.
I padroni rispondono con le serrate, vedono la violenza dei fascisti uno strumento utile da contrapporre al movimento operaio: fu strategia vincente, favorita anche dalla crisi dei liberali, dall’inerzia del re, dalla scissione del 1921 che fa nascere il Partito Comunista d’Italia, dalla rinuncia ad un accordo di governo tra socialisti riformisti e popolari. L’Italia è pronta per un governo totalitario e per soddisfare una mai sopita nostalgia per l’”uomo forte”.
(m.l.s.)