Governo e Commissione Ue: un compromesso  che converrebbe a tutti

41Italia_UEPer la prima volta nella storia dell’euro, la Commissione Ue ha bocciato una legge di bilancio, quella dell’Italia, chiedendo di rivederne saldi e contenuti. Un inedito scontro frontale tra le due parti, dall’esito e dalle conseguenze di medio periodo pericolosi.
L’oggetto del contendere non è solo contabile, ma anche politico. Da un lato, la Commissione Europea, indulgente con il deficit italiano dell’ultimo quinquennio – tra il 3% del 2014 e il 2,3% del 2017 – ma rigidissima sul 2,4% previsto per il 2019. Dall’altro lato, l’Italia, che insolentisce Bruxelles con toni da sceneggiata (fino all’acme dell’accusa di un sempre più inadeguato Di Maio verso il presidente della BCE, Draghi, reo di non “tifare Italia”), ma non molto diversi dal passato: frasi come “portiamo il deficit al 2,9%” o “non verseremo le quote di bilancio all’UE” le aveva già messe nere su bianco il leader di un’altra maggioranza.
È evidente che sul conflitto Roma-Bruxelles pesa la scadenza elettorale di maggio. Lega e 5 Stelle ambiscono ad essere, nel prossimo Parlamento Europeo, le forze guida di un fronte nazionalista – con venature fasciste e xenofobe – che diventi maggioritario e guidi la transizione verso un’Europa “minima”, in cui prevalgano gli interessi nazionali.
Un percorso che potrebbe portare in pochi anni alla fine del già appannato progetto europeo, ma con esiti drammatici proprio per i paesi-guida di questo fronte: Italia in testa. Dall’altro lato, i responsabili economici di Bruxelles, tutelando il principio della disciplina di bilancio con l’intransigenza e le “riforme strutturali” (cioè il liberismo senza limiti) e assicurando forza e stabilità monetaria nell’interesse degli Stati membri più virtuosi, si stanno rendendo responsabili del montante nazionalismo e delle umilianti prove elettorali dei loro partiti di questi anni: dai socialisti di Moscovici e Dijsselbloem quasi scomparsi in Francia e Olanda, alla crisi dei popolari nella Germania di Merkel o in Austria.
Alla luce di queste prospettive, un punto d’incontro tra Italia e Commissione Ue non sarebbe auspicabile da tutti? Sì, e non solo per le prospettive politiche, ma anche per gli scenari macroeconomici. Per l’Italia, l’uscita dall’euro o una nuova crisi finanziaria produrrebbero una catastrofe economica e sociale senza precedenti, secondo il parere quasi unanime dei tecnici più autorevoli.
Ma dall’altro lato, a chi gioverebbe una crisi italiana? Il nostro Paese a molti appare troppo grande per essere salvato: i prestiti e la crudeltà sociale con cui la Troika è intervenuta nella piccola economia greca potrebbero rivelarsi insufficienti per risollevare le sorti della terza economia europea.
Un’Italia in bancarotta produrrebbe inoltre conseguenze enormi sull’economia internazionale: il nostro Paese rappresenta il 2,5% dell’import mondiale (è l’undicesimo Paese importatore del mondo) e il 7,5% delle importazioni intra-Ue (quarto paese importatore nell’Unione Europea).
Il contestuale fallimento delle banche italiane – un paio delle quali sono costantemente sotto osservazione – potrebbe scatenare una nuova crisi economica globale. Anche per questo, se prevalesse la razionalità e non, da un lato il cinismo di chi vuole fare dell’Europa un nuovo capro espiatorio a fini elettorali e, dall’altro, le dogmatiche rigidità che già tanti danni economici hanno prodotto, un compromesso sul bilancio italiano sarebbe per tutti più conveniente di un conflitto.

Davide Tondani