In un clima difficile, l’obiettivo di Moro era il coinvolgimento popolare nella realizzazione di una democrazia compiuta, da realizzarsi attraverso la “democrazia dell’alternanza”, con lo sdoganamento del PCI e il suo ingresso nell’area di governo.
Il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse rapiscono Moro, uccidendo i 5 poliziotti della scorta, mentre si reca in Parlamento per votare la fiducia al primo governo con il sostegno dei comunisti.
La stretta di mano tra il presidente della DC Aldo Moro e il segretario del PCI Enrico Berlinguer a Roma il 28 giugno 1977
Per poter meglio comprendere in quale clima politico e istituzionale maturò e si concretizzò il sequestro dell’on. Aldo Moro, è fondamentale calarsi nelle vicende degli anni immediatamente precedenti al 16 marzo 1978. A partire dalle elezioni regionali e amministrative del 1975 (le prime alle quali sono ammessi a votare i diciottenni) in cui il PCI toccò una percentuale di suffragi pari al 33,4% rispetto al 35,3 della DC: un successo strepitoso per la linea di Berlinguer, con conseguenze di grande portata.
Lo stesso Moro ne fu talmente persuaso che, nel luglio 1975, nel corso di una riunione del Consiglio nazionale del suo partito constatò come l’esperienza di Centrosinistra, a partire dal 1962, fosse stata “se non vanificata, certamente colpita. È difficile dire cosa accadrà. L’avvenire non è più, in parte, nelle nostre mani”. L’anno dopo, nelle elezioni politiche anticipate, “il sorpasso” non avvenne : il PCI non superò la DC, ma registrò una decisiva avanzata elettorale con il 34,4%, mentre la DC prese il 38,7. Il risultato finale era un sostanziale pareggio. Il blocco della sinistra (PCI + PSI + altri partiti minori) aveva avuto circa il 45% dei voti; il blocco di centro (DC + PRI + PSDI + PLI) aveva ottenuto sostanzialmente lo stesso risultato.
Le difficoltà parlamentari sorte con quel voto portarono alla costituzione di governi monocolori DC presieduti da Giulio Andreotti, cosiddetti della “non sfiducia” o governi “delle larghe intese”, come furono ribattezzati, frutto di un accordo tra sei partiti (DC-PSI-PSDI-PRI-PLI) con l’astensione anche del PC.
Dalla Puglia a Roma: la biografia di Moro
Aldo Moro (1916-1978)
Aldo Moro nasce a Maglie (LE) il 23 settembre 1916. Si laurea in Giurisprudenza a Bari e inizia la carriera accademica. Dal 1939 al 1943 è presidente della Federazione degli universitari cattolici (FUCI), dove matura il suo impegno politico. Dal 1945 al 1946 dirige il Movimento Laureati dell’Azione Cattolica. Nel 1946 è eletto all’Assemblea Costituente per la DC, di cui è uno dei fondatori, e fa parte della Commissione che redige il testo costituzionale. Nel 1948 è eletto alla Camera. Nel quinto governo De Gasperi è nominato sottosegretario agli esteri; nel 1955 è ministro di Grazia e Giustizia del primo governo Segni. Ministro della Pubblica Istruzione nel governo Zoli, introduce l’insegnamento dell’educazione civica. Lavora alla costruzione del centrosinistra, contro le resistenze del suo partito e del PSI. Nel 1959, al VII congresso, diventa segretario della DC. Dal 1963 al 1968 presiede governi di centrosinistra. Dal 1970 al 1974 è ministro degli esteri. Il grande consenso ottenuto dal PCI nelle amministrative del 1975 rilancia la sua idea di coinvolgere il PCI nel governo. Nel luglio 1976 si avvia la stagione della solidarietà nazionale. Il 16 marzo del 1978 le Brigate Rosse rapiscono Moro in via Fani, mentre si reca in Parlamento per la fiducia al primo governo con il sostegno dei comunisti. Si apre un dibattito drammatico tra chi vuole trattare con le BR e chi rifiuta di scendere a compromessi. Il 9 maggio 1978 il cadavere di Moro è ritrovato a Roma, in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4. (a.r.)
Nel gennaio 1978 si aprì una nuova crisi di governo per la cui soluzione Aldo Moro si spese più di ogni altro. In quei primi mesi sorse la questione di un accordo al fine di portare il PCI nella maggioranza di governo, ancorché fuori del governo stesso.
Uno degli ostacoli maggiori, anche se altri ve ne erano al di fuori della DC, era rappresentato dall’ostilità dei gruppi parlamentari della DC convocati per decidere se inserire i comunisti nel governo o escluderli, chiedere nuove elezioni anticipate o se, addirittura, passare all’opposizione. Il discorso che il presidente Moro pronunciò davanti ai gruppi parlamentari della DC il 28 febbraio 1978 fu decisivo per avviare una collaborazione non di governo, ma sul programma e in Parlamento con il PCI.
Dietro quel discorso traspariva la convinzione che sarebbe stato un errore ritornare nuovamente alle elezioni, mentre si dovevano accogliere, almeno in parte, le richieste comuniste, facendo entrare il PCI nella maggioranza. Moro era convinto che la gestione della vita del Paese da parte della DC, tenuta per più di trent’anni, era dovuta al fatto che “siamo stati capaci di flessibilità e insieme capaci di una assoluta coerenza con noi stessi; la nostra flessibilità ha salvato fin qui, più che il nostro potere, la democrazia italiana”.
E ancora: “le cose oggi sono diverse, sono molto più grandi… è necessario quindi guardare alla situazione e alle alternative”. Invocava “coerenza, fedeltà agli elettori, difesa della propria identità”, senza che prevalesse “un arrendersi” rispetto alla volontà di riconfermare le proprie responsabilità verso il Paese.
“Si tratta si essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà”. L’emergenza economica e la preoccupazione dell’ordine democratico imponevano un’intesa sul programma di governo, per cui “quello che è importante in questo passaggio è preservare ad ogni costo l’unità della DC; stiamo uniti, ma ricordiamoci della nostra caratterizzazione cristiana e della nostra anima popolare”. Il 16 marzo, però, poche ore prima della presentazione del nuovo governo Andreotti al Parlamento, le Br rapirono Aldo Moro e uccisero i cinque uomini della sua scorta.
A distanza di quarant’anni l’unica cosa che appare sufficientemente chiara è che l’on. Moro doveva essere eliminato perché bisognava che il suo progetto politico del superamento del veto dell’ingresso dei comunisti nell’area di governo fosse a tutti i costi impedito per salvaguardare gli esistenti equilibri politici italiani e quelli internazionali dettati dalla cosiddetta “guerra fredda”.
L’obiettivo di Moro era il coinvolgimento popolare nella realizzazione di una democrazia compiuta, che si sarebbe dovuto realizzare attraverso quella che lui indicava come “democrazia dell’alternanza”, inizialmente con lo sdoganamento del PCI e il suo ingresso nell’area di governo. Questo principio è stato sperimentato a più riprese nella seconda Repubblica con altri soggetti politici ed oggi, che pare si sia entrati nella terza, è del tutto evidente che la lezione di Moro appare ancora attuale.