
Domenica 10 dicembre, II di Avvento
(Is 40,1-5.9-11; 64,2-7; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8)
Il termine vangelo, ai tempi della stesura del testo di Marco, era usato per indicare una buona notizia. Filippide, giunto correndo a Maratona, annuncia la buona notizia (il vangelo): “abbiamo vinto”. Una guarigione, una nascita importante erano vangelo. A Priene, in Turchia, è stata ritrovata una iscrizione che annunciava la nascita di Ottaviano quale inizio del vangelo.
Quando Marco scrive il suo testo, che verrà chiamato “Vangelo” soltanto un secolo dopo, il vangelo della pace romana, annunciato dalla iscrizione di Priene, portato con spargimento di sangue da Ottaviano, è già terminato da tempo nel sangue. Il nostro evangelista con l’incipit del suo scritto: “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, figlio di Dio” vuole evidenziare la differenza tra la buona notizia nella concezione degli uomini e quella portata da Gesù. Subito ce lo fa conoscere quale Messia tanto atteso, inviato da Dio e, lui stesso, Dio.
Infatti, nella concezione semitica, l’essere figlio indica soprattutto la somiglianza con il padre. Il primo personaggio del Vangelo di Marco non è Gesù, ma Giovanni il Battista. Per presentarlo, l’evangelista prende tre testi della storia della salvezza e li attribuisce tutti al profeta Isaia. Il primo è tratto dall’Esodo. Il Signore sta per liberare il popolo di Israele dalla schiavitù e annuncia che manderà un angelo, Mosè, che li guiderà alla terra promessa.
Malachia è l’autore del secondo brano richiamato. Il Signore purificherà il culto in Israele e per questo invierà un angelo.
Nel terzo brano, questo sì di Isaia, c’è l’invito da parte del profeta a preparare le vie che permetteranno l’incontro con il Signore. Con questi tre versetti Marco ci indica quale angelo inviato dal Signore proprio Giovanni il Battista. C’è bisogno ancora oggi di angeli che ci aiutino a liberarci dalle nostre schiavitù per vivere in pienezza i segni che ci rapportano al Signore e ci fanno incontrare con lui. La schiavitù, ancora oggi, tiene incatenati molti cuori. Vi sono ripicche, vendette, odi che obbligano a comportarsi in determinati modi. Ciò comporta di non essere pienamente liberi nel profondo di noi, ove vive la vera schiavitù. È l’istinto, la parte animale che non permette a quella umana di esprimersi completamente e liberamente. Vi è bisogno di un angelo che ci aiuti a tirarci fuori dalla nostra parte preumana e ci apra la strada all’incontro con il Padre che ci vuole liberi perché ci ama.
L’ “angelo” Giovanni il Battista propone un battesimo di conversione che significa un cambiamento di atteggiamenti sia di testa che di cuore e implica due aspetti. Il primo riguarda il nostro modo di vedere Dio. Se adoriamo un Dio legislatore che dà ordini e poi punisce severamente coloro che trasgrediscono i suoi comandi, anche noi saremo dei giudici severi verso tutti coloro che si comportano in modo, secondo noi, scorretto. Il secondo aspetto riguarda la morale.
Ognuno ha una scala di valori. Spesso in cima a quella scala si trovano la ricchezza ed in fondo l’attenzione agli altri. La conversione comporta il ribaltamento dei due aspetti. Dobbiamo riconoscere Dio quale padre amorevole che ci avvolge nel suo amore e desidera che ognuno di noi ne sia partecipe. Detta conversione comporta automaticamente il ribaltamento della scala dei valori che avrà in cima l’attenzione ai fratelli ed in fondo quella al denaro.
Pier Angelo Sordi