Avvento. Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi

Domenica 3 dicembre, I di Avvento
(Is 63,16-17.19; 64,2-7; 1Cor 1,3-9; Mc 13,33-37)

45vangeloInizia oggi, con l’ Avvento, il nuovo anno liturgico, l’anno “B”, nel quale ci accompagna l’evangelista Marco. Il suo Vangelo è particolarmente prezioso per coloro che vogliono divenire discepoli di Gesù. La prima parte dell’anno liturgico è orientata al Natale. Le quattro settimane che precedono quella grande festa nella storia della salvezza sono di preparazione alla venuta, alla nascita del Messia. Avvento significa appunto venuta. Il breve brano che ci viene proposto in questa prima domenica non espone propriamente una parabola, che presuppone un solo messaggio e alcuni corollari, ma una allegoria per la quale qualcosa di astratto viene espresso con una immagine concreta.
Gesù invita i suoi a vigilare e propone loro un fatto reale. Dice: “è come un uomo che è partito dopo aver lasciato la sua casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, ed ha ordinato al portiere di vigilare.” Per comprendere l’allegoria si devono trovare i riferimenti. Lui stesso è l’uomo che sta per lasciare la sua casa terrena. I servi sono coloro che si riferiscono a Lui.
Il termine “servo” nella Bibbia è un riconoscimento riservato a coloro che hanno messo la propria vita a disposizione del progetto e dei disegni di Dio. La casa rappresenta la comunità dei discepoli che sono entrati nel regno di Dio accogliendo l’insegnamento che scaturisce dalle beatitudini proclamate da Gesù. Il portinaio è la coscienza personale di ogni uomo. È questa che ha l’incarico di dare l’allarme quando un falso padrone si presenta per esigere ubbidienza nella casa. Deve porre molta attenzione a non farsi deformare per non divenire inutile.
Il nostro tempo è particolarmente ricco di lusinghe che possono deviare l’attenzione del portinaio. Non si sa quando il padrone viene. Vi sono quattro riferimenti temporali notturni; non si sa se verrà la sera o a mezzanotte oppure al canto del gallo o al mattino. Sembra alludere al poema delle quattro notti del Targun: una traduzione parafrasata, che spiega e rende attuale, in questo caso, l’esperienza dell’Esodo. In quel poema si presenta nella prima parte della notte la lotta tra il bene ed il caos (il male) con la vittoria del primo e la creazione della luce.
Nella seconda parte della notte Dio invita il novantanovenne Abramo ad uscire dalla tenda per vedere la luce, le stelle del cielo e comprendere quanto grande sarebbe stata la sua discendenza se avesse conservata la sua fiducia in Lui. La terza parte della notte vede la luce della nube che permette prima la salvezza e poi la liberazione di Israele dalla schiavitù d’Egitto, la quarta parte della notte è inondata dalla luce dell’avvento del Messia.
Questi eventi fondamentali della storia della salvezza sono illuminati dalla luce che elimina il buio. Il poema delle quattro notti offre luce anche a noi, ci invita a non farci condizionare dalla paura ma ad aderire ad una esistenza capace di aprirsi alla luce della legge dell’amore. Il padrone viene per essere presente nella storia dell’umanità, per esserne la guida, la luce e la meta. Il pericolo non è quello di venire puniti per non essersi fatti trovare vigilanti al momento della sua venuta ma quello di non accorgersi di quel che lì avviene, della luce che avremmo potuto riflettere, della mancata testimonianza dell’amore di cui tutte le donne e gli uomini della terra hanno bisogno.
È un invito bello perché tutto ciò che sgorga dal Vangelo, può essere scomodo ed impegnativo ma è sempre, certamente gioioso.

Pier Angelo Sordi