Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla

Domenica 26 marzo, quarta di Quaresima
(1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41)

12VangeloC’è tanta, tanta luce. La luce è importante, infatti illuminate sono considerate le persone di animo elevato. Nella vita di fede la piena luce permette di non confondere la realtà con le apparenze. Da sempre tenere gli occhi aperti, e quindi avere luce, significa evitare gravi errori. Ma se i nostri occhi non vedono, oppure se preferiamo tenerli chiusi, tutta quella luce diventa inutile.
È Gesù stesso a darci la chiave di lettura di questa pagina di vangelo: “finche sono nel mondo io sono la luce del mondo”. È Gesù a vedere il cieco. Questi, menomato fin dalla nascita, non sa, se non per vaghe spiegazioni altrui, cosa gli manchi. Nessuno si deve stupire che tutti gli uomini, dal punto di vista spirituale, nascano ciechi. Non vi è colpa in ciò e nemmeno nell’assenza di desiderio della luce proprio perché non la si conosce.
Con quel cieco, sta di fronte a Gesù, l’intera umanità. Il Cristo, sputa in terra, forma del fango e lo spalma sugli occhi del cieco nato e invia l’uomo alla piscina di Siloe. La saliva, nella mentalità semitica, rappresentava la concentrazione dall’alto. Vediamo come il soffio di Gesù (la saliva) mescolato alla terra dia origine ad una nuova creazione dall’alto, coronata da un nuovo battesimo che si realizza grazie all’inviato (Siloe) dal Padre. Questo è il punto centrale di questo brano, infatti viene ripetuto ben cinque volte. Inizia ora per l’ex cieco nato un percorso che non è un percorso individuale.
Tutti coloro che in qualche modo, o attraverso la Sua parola, o grazie a qualche fulgida testimonianza di vita, sono guariti da Gesù , esplorano quella strada. Non appena recuperata la vista, cambiano il loro modo di agire. Si comportano correttamente, guardano ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli, sono sorridenti e disponibili. Anche nell’ambiente domestico si trasformano e, in qualche modo, non vengono riconosciuti. Proprio come accade al cieco nato che mendicava tutti i giorni seduto a terra. I vicini non lo riconoscono con certezza, è lui che dichiara di essere proprio quel cieco che hanno conosciuto e spiega loro cosa gli è capitato.
Le autorità religiose si preoccupano perché il cieco nato è stato “guarito” in giorno di Sabato. Se ci pensiamo bene quella conversione, perché di quello si tratta, non poteva che essere fatta nel giorno del Signore. Ma come poteva, pensavano i farisei, un inviato da Dio, contravvenire alla legge del riposo del sabato a cui Dio stesso si era sottomesso?
Difficile, per loro, abbandonare i granitici principi, non facili, ma sicuri, per aderire alla mentalità di amore del Padre Creatore che comporta coinvolgimento continuo. I farisei, tuttavia, sono colpiti. Vogliono scoprire dove stia l’inganno. Ma anche loro ingannano perché han fatto sapere che chiunque avesse riconosciuto in Gesù il Messia, sarebbe stato espulso dalla sinagoga. Il che prevedeva la perdita di qualsiasi rapporto, di qualsiasi lavoro. L’emarginazione totale. I farisei convocano i genitori del guarito i quali, impauriti, riconoscono solo che quello è il loro figlio. Le autorità religiose convocano il cieco una seconda volta. Anche se l’uomo ripropone realtà verificabili, i farisei lo scacciano fuori dalla sinagoga.
Fuori, il guarito, incontra Gesù e qui, approfondendo la sua conoscenza fa il suo pieno atto di fede.

Pier Angelo Sordi