Nel 1516 l’Utopia di Tommaso Moro. La sua eredità oggi

Decapitato nel 1535, Tommaso Moro fu proclamato santo da Pio XI quattro secoli dopo

Tommaso Moro
Tommaso Moro (al centro con il vestito viola) con la famiglia

Cinque secoli fa, a dicembre 1516, usciva ad Anversa un libro immortale, Utopia di Tommaso Moro, brillante avvocato a difesa soprattutto dei poveri, intellettuale, umanista cultore dei classici greci e latini, politico, consigliere alla corte del re Enrico VIII, coerente cattolico, morì per la sua fede. Uomo estremamente concreto e convinto che un altro mondo sia possibile, lo presentò nella sua opera più grande realizzato in un altrove, nell’isola di Utopia, denominata con questo neologismo derivato dal greco con un gioco di parole che significa “non luogo” (ou-topos), ma anche “luogo felice” (eu-topos). Progettando un luogo migliore inesistente, Moro giudica con acuto giudizio e si contrappone alla società del suo tempo, inglese in particolare, inquieta e sconvolta da un grande travaglio storico. Dopo quella dei “Cento anni”, scoppia la guerra “delle due rose”, una guerra civile che durò trent’anni (1455-1485), condotta “senza scrupoli e senza pietà” tra i Lancaster e gli York, due casate che si divorano a vicenda e al trono va la dinastia dei Tudor, che regna per tutto il XVI secolo con Enrico VIII, che fa lo scisma religioso con Roma, e la figlia Elisabetta I che consolida la riforma anglicana ancor oggi praticata. Utopia è un’opera in due libri in lingua latina in cui con satira sottile e tutta intrisa di elementi fantastici Tommaso Moro guarda attentamente e non come un sognatore il suo tempo, che si presenta cupo ma anche splendente di idee nuove, che gli uomini del potere non seppero o non vollero accogliere e alla lunga distanza persero. Grande amico di Tommaso Moro fu Erasmo da Rotterdam che pochi anni prima, nel 1511,con il suo Elogio della pazzia, ma anche con De libero arbitrio capisce la crisi di una Chiesa mondanizzata e propone una “moderna devozione” che avrebbe potuto evitare lo strappo portato da Lutero. Utopia è come una risposta al paradosso di Erasmo che fa saggia la follia che gli uomini dicono stolta, riprende il tema antico delle isole beate e misteriose dove non c’è il male che si compie in Inghilterra e in Europa. In stile leggero, umoristico dice la storia di Raffaele Itlodeo, marinaio portoghese che prima ha navigato con Amerigo Vespucci, ma poi abbandona il navigatore fiorentino perché desidera fare altri viaggi e va verso l’oceano Indiano. Tante le terre e i popoli incontrati prima di giungere a Utopia, l’isola che non c’è. Il personaggio incarna benissimo il pensiero politico del suo inventore Tommaso Moro, che papa Giovanni Paolo II nel 2000 ha proclamato santo protettore dei politici. Nel libro si svolge un dialogo tra Moro, che mette il proprio sapere e la propria intelligenza per il bene comune e per consigliare al meglio i politici, e Itlodeo che è scettico e disincantato, giudica negativamente l’Inghilterra per la pena di morte,data anche per il reato di furto,bisognerebbe invece dare a tutti i mezzi per vivere per non essere portati alla necessità di rubare per vivere. Condannata è la società dei nobili “fannulloni che vivono nell’ozio”, dice “belve” i soldati non per un pacifismo ideologico ma per la verità del Vangelo che vuole concreti atti di pace. Critico nei confronti delle istituzioni dominanti, Itlodeo è altrettanto radicale nell’esaminare le cause di fondo della grande miseria delle classi popolari, che è prodotta dai “poteri forti” economici e sociali che iniziavano la trasformazione capitalistica del regno inglese, la quale incrementava i pascoli per il mercato della lana, metteva recinti sulle “terre comuni” e distruggeva le antiche colture (si potrebbero trovare analogie con le lobby di oggi che privano del raccolto di sopravvivenza i piccoli coltivatori africani rendendo inevitabile la loro emigrazione). Drastica e radicale è la conclusione di Moro: mai sarà possibile instaurare la giustizia nello Stato finché esisterà la proprietà privata e il valore delle persone sarà misurato dal denaro: analisi ben applicabile anche al nostro tempo. L’isola Utopia è lo specchio rovesciato di un disordine sempre contemporaneo: là tutti hanno gli stessi bisogni, la società è senza classi, partiti e interessi particolari, regna la massima armonia. Si lavora sei ore al giorno per dare tempo allo studio e al riposo, tutti sanno praticare l’agricoltura e almeno un mestiere artigianale e si produce a beneficio di tutti. In un’Europa già insanguinata dalle guerre di religione, l’unica via d’uscita è la tolleranza perfetta fra tutte le religioni, piena libertà di parola e di pensiero. Idee per niente assurde da proporre alla nostra “Europa senza utopie”, titolo di un profondo saggio di Paolo Prodi storico e Massimo Cacciari filosofo.

Maria Luisa Simoncelli