“A volte, una certa ipocrisia spinge a vedere in voi solo delle persone che hanno sbagliato, per le quali l’unica via è quella del carcere. Io vi dico: ogni volta che entro in un carcere mi domando: ‘Perché loro e non io?’. E l’ipocrisia fa sì che non si pensi alla possibilità di cambiare vita: c’è poca fiducia nella riabilitazione, nel reinserimento nella società. Quando si rimane chiusi nei propri pregiudizi, o si è schiavi degli idoli di un falso benessere, quando ci si muove dentro schemi ideologici o si assolutizzano leggi di mercato che schiacciano le persone, in realtà non si fa altro che stare tra le strette pareti della cella dell’individualismo e dell’autosufficienza, privati della verità che genera la libertà. E puntare il dito contro qualcuno che ha sbagliato non può diventare un alibi per nascondere le proprie contraddizioni”. Sono parole pronunciate da Papa Francesco in San Pietro nell’omelia della Messa del Giubileo dei carcerati. Erano presenti mille detenuti, provenienti da dodici Paesi, con le famiglie, i bambini, i volontari, gli operatori, gli agenti della polizia penitenziaria i quali, dopo aver attraversato la Porta Santa, concludevano i due giorni del loro giubileo in San Pietro col papa. In quelle parole c’è un forte richiamo alla necessità che la giustizia penale sia esercitata rispettando la dignità della persona ed evitando che le condizioni di detenzione si traducano in un abuso, scivolando verso una forma di vendetta nei confronti di chi ha sbagliato e che per questo deve subire una pena. Ma c’è soprattutto un invito alla speranza che “è posta nel più profondo del cuore di ogni persona perché possa rischiarare con la sua luce il presente, spesso turbato e offuscato da tante situazioni che portano tristezza e dolore”. “Nessuno di voi si rinchiuda nel passato! Certo, la storia passata, anche se lo volessimo, non può essere riscritta. Ma la storia che inizia oggi, e che guarda al futuro, è ancora tutta da scrivere, con la grazia di Dio e con la vostra personale responsabilità. Imparando dagli sbagli del passato, si può aprire un nuovo capitolo della vita”. Non sono parole generiche e neppure ingenue. Per questo, all’Angelus, rivolge il suo appello “in favore del miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri in tutto il mondo, affinché sia rispettata pienamente la dignità umana dei detenuti. Inoltre, desidero ribadire l’importanza di riflettere sulla necessità di una giustizia penale che non sia esclusivamente punitiva, ma aperta alla speranza e alla prospettiva di reinserire il reo nella società. In modo speciale, sottopongo alla considerazione delle competenti Autorità civili di ogni Paese la possibilità di compiere, in questo Anno Santo della Misericordia, un atto di clemenza verso quei carcerati che si riterranno idonei a beneficiare di tale provvedimento”. I detenuti nel mondo sono 10 milioni. Anche in Italia le carceri sono sovraffollate, 55.000 i carcerati di cui il 34% stranieri. Spesso, anche in Italia c’è una forma di giustizia selettiva: chi non ha risorse, i poveri, i tossicodipendenti, gli immigrati, coloro che hanno problemi psichici difficilmente sfuggono alla “giustizia”. Invocare una clemenza ponderata per chi è idoneo a beneficiarne e garantire migliori condizione di detenzione è anche un deterrente per evitare che chi subisce abusi durante la carcerazione si senta una vittima dello Stato.
Giovanni Barbieri