
Domenica 24 dicembre, IV di Avvento
(2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38)
Oggi leggiamo veramente una storia nuova, con una data di origine, sei mesi prima, quando l’Arcangelo Gabriele aveva annunciato a Zaccaria che sarebbe divenuto padre. Una storia “minima” che coinvolge luoghi e personaggi di nessuna importanza.
Nazareth era un paesino antico, dapprima abbandonato ma poi di nuovo abitato circa duecento anni prima della nascita di Gesù. Vivevano in quel territorio poche centinaia di persone. I personaggi sono un artigiano e soprattutto la sua promessa sposa, una vergine di nome Maria. Il nome è comunissimo e significa principessa. Presso un popolo, ove la numerosità della popolazione era importantissima, le madri erano le donne realizzate, le vergini quasi inutili, tenute in considerazione solo perché la possibilità di una futura maternità. Questo quadro, agli occhi degli uomini, quasi desolante, è, agli occhi di Dio, la situazione ideale per dare compimento alla storia della salvezza.
Il popolo di Israele, specialmente nei testi dei profeti, viene indicato come “vergine”. Ciò accade quando Israele (in aramaico è femminile) è in situazione di sofferenza. Geremia in particolare indica come il suo popolo sia spesso in balia degli altri popoli, ne sottolinea la cattiva condotta ma addita anche la salvezza che viene dal Signore. Negli auspici di redenzione che vengono in particolare da Sofonia e Zaccaria, quando ci si riferisce alla vergine Israele si aggiunge l’indicazione “figlia di Sion.”
Quando, nel settimo secolo avanti Cristo, i rifugiati che dalla Samaria cercavano di sfuggire alle violenze della invasione assira giunsero a Gerusalemme trovarono posto nel quartiere a nord della città: Sion che era zona tanto povera da essere chiamata “figlia di Gerusalemme”.
L’angelo Gabriele saluta Maria, le dice “rallegrati”. Questo vocabolo è quello usato dai profeti Sofonia e Zaccaria per rincuorare il popolo di Israele sofferente. Viene usato dai profeti esclusivamente in questa situazione. Quindi l’angelo annuncia l’evento centrale della storia della redenzione che coinvolge sia la vergine Maria che la vergine Israele. Per entrambe l’intervento dello sposo, che le ama dal profondo, sarà l’inizio di una storia nuova che le renderà feconde in quanto capaci di rispondere affermativamente alla sua proposta.
Come Maria è segno per tutto il popolo di Israele, Israele è segno per tutti i popoli della terra. L’inizio del nuovo regno riguarda infatti tutti gli uomini della terra. La storia della salvezza, cominciata con la fede di Abramo, continuata con la liberazione del Mar Rosso, passata attraverso gli insegnamenti dei profeti, aveva bisogno di Maria affinché potesse essere messa nelle mani di Dio. Sarebbe stato semplicissimo per il Signore far sorgere dal nulla una creatura che insegnasse all’umanità a vivere. Gesù, invece, ha detto di voler abitare nel cuore dell’uomo. Non il freddo rapporto di chi insegna, ma la calda partecipazione alla vita nel suo complesso. Ci ha dato un cibo ed una bevanda che possano entrare in noi in modo che da noi si generino opere in sintonia con l’amore che è stato accolto.
Maria, conscia di essere poca cosa, si affida e diviene la madre del Salvatore. Il suo “avvenga in me secondo la tua parola” deve essere anche la nostra adesione ad accogliere la proposta di vivere nella storia nuova. Sapendo che riconoscersi piccoli e “vergini” permette allo sposo, Dio, di farci essere fecondi portatori del suo amore.
Pier Angelo Sordi