Migranti, la fatica di sfatare i luoghi comuni

Il sociologo Ambrosini sull’immigrazione: dallo ius soli all’accoglienza

30migrantiCi sono “fantasmi” e luoghi comuni da sfatare intorno al mondo dei migranti e dell’immigrazione, un tema sul quale i politici si azzuffano, disorientando sempre di più l’opinione pubblica. È Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori all’Università degli Studi di Milano, a sostenerlo, affermando, in una intervista ad Agenzia SIR, che in Italia “non è in corso alcuna invasione” e che gli immigrati non sono un fardello ma, al contrario, sono “vantaggiosi” per il sistema.
La confusione è grande – “forse voluta” dice lo studioso – perché una cosa sono gli sbarchi, un’altra è l’immigrazione, un’altra è il tema della cittadinanza per i figli di genitori immigrati cresciuti in Italia: il famigerato e bistrattato ius soli. Confondendo tutti questi temi si crea un’ansia da assedio che non facilita di certo la serenità del dibattito.
Le cifre degli sbarchi sono limitate rispetto al fenomeno dell’immigrazione. I richiedenti asilo sono 180mila; certo non pochi, ma poca cosa a fronte di 5 milioni e mezzo di immigrati residenti. Altra cosa ancora è l’esigenza di favorire l’integrazione e dare un futuro alle famiglie immigrate e ai loro figli – 1 milione e 100mila bambini e ragazzi – che frequentano le scuole italiane, si affacciano all’università, al mondo del lavoro. Se non si vuole che crescano sentendosi cittadini di serie B, occorre preparare un futuro più armonico e pacifico per tutti, migranti compresi.
La cosa può non essere facile da digerire perché significa prendere atto che gli italiani non saranno più caratterizzati da tratti fisici che siamo abituati a vedere. Una diversità che nei fatti è già realtà: si tratta di gestirla secondo criteri di civiltà.
migrantiAl contrario, le ansie suscitate dalle difficoltà economiche inducono gli italiani a prendersela con l’africano sbarcato e con i figli degli immigrati – più vicini e visibili – invece che con le forze finanziarie globali. Idee che vengono alimentate dai calcoli elettorali di certe forze politiche.
Un tema di modesto impatto sociale, economico e culturale diventa così decisivo per quanto riguarda il posizionamento e il successo dei partiti. Il presidente dell’Inps ha ricordato ancora di recente che il sistema pensionistico ha bisogno di immigrati regolari, i quali “regalano” agli italiani un punto di Pil in contributi. Il motivo è semplice: gli immigrati sono per lo più giovani adulti e quindi non percepiscono pensioni; se si guarda il rapporto tra ciò che versano in termini di contributi e ciò che incassano o fruiscono in termini di servizi il saldo è largamente positivo per il nostro Paese.
Sarebbe giusto mettere in rilievo l’importanza delle tasse e dei contributi versati dagli immigrati. Altro discorso è quello relativo all’accoglienza dei migranti: tra le operazioni di salvataggio in mare, operazioni di pubblica sicurezza e accoglienza a terra la spesa è intorno ai 4 miliardi di euro, mentre i contributi europei arrivano alla metà di queste cifre.
Ma tali costi sono in parte compensati da altre voci positive: gli italiani che lavorano nei centri di accoglienza, il contributo dei 5 milioni e mezzo di immigrati che comprano auto di seconda mano, abitazioni di modesto pregio, beni di largo consumo. Non se ne parla mai. Sembra solo che gli immigrati prendano. Da ultimo, a tutto questo si è aggiunta la campagna di delegittimazione delle Ong, accusate di loschi traffici. Un’operazione che serve a riaffermare l’autorità dello Stato e il suo potere di controllare i confini, ma anche, fatto più inquietante e triste, a limitare di fatto l’azione di salvataggio in mare.

Un’accoglienza più diffusa per facilitare l’integrazione

migrantiIn Italia su circa 8.000 Comuni sono 3.153 quelli che fanno accoglienza di migranti, meno del 50% del totale. Il dato, diffuso in questi giorni dal ministro dell’Interno Marco Minniti, comprende sia quelli ospitati nei Cas, i Centri di accoglienza straordinaria, in maggioranza predisposti dalle prefetture, sia quelli accolti nella rete Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Ciò che le istituzioni stanno cercando di fare, in collaborazione con i sindaci, è rendere l’accoglienza sempre più stabile, strutturata e mirata all’integrazione distribuendo equamente le presenze sul territorio nazionale. I percorsi Sprar permettono di organizzare corsi di lingua, tirocini formativi, laboratori, attività di volontariato, con alti livelli di professionalità degli operatori e maggiori chance di integrazione. In pratica, se ogni Comune italiano desse la disponibilità ad ospitare in maniera stabile sul suo territorio un certo numero di migranti, secondo la misura orientativa di 3 migranti ogni 1.000 abitanti, il peso sarebbe equamente ripartito, le presenze sarebbero equilibrate e si eviterebbero conflitti e tensioni sociali. Ciò anche grazie alla “clausola di salvaguardia” stabilita dal ministero dell’Interno, secondo la quale i Comuni disponibili ad entrare nel sistema Sprar non potranno vedersi imporre dalle prefetture nuovi Cas. Secondo l’ultimo Rapporto annuale Sprar 2016, l’anno scorso erano 26.012 i posti disponibili per l’accoglienza in 1.000 enti locali e vi sono passate circa 35.000 persone (34.528), con un aumento di circa 6.000 presenze rispetto al 2015, segno che il sistema si sta ampliando. Certo, la sfida non è facile, e ci vuole una forte collaborazione tra sindaci e prefetti, con il coinvolgimento attivo della popolazione, che deve essere preparata all’accoglienza.