Per la democrazia, contro il presidenzialismo

La democrazia nel mondo non gode di buona salute. I sintomi si fanno sempre più evidenti anche nell’Occidente in cui è nata e si è affermata. In un mondo reso interdipendente dalla globalizzazione gli spazi per politiche nazionali si sono drasticamente ridotti e l’adesione più o meno marcata di tutte le grandi famiglie politiche al liberismo ha trasmesso l’idea che i confini tra le proposte programmatiche si siano assottigliati fin quasi a scomparire in una fredda tecnocrazia autoproclamatasi priva di alternative. I sistemi di governo presidenzialisti sono i più vulnerabili a questa malattia. L’investitura popolare che concentra il potere in capo ad una sola persona ha perso il contrappeso di un fondamentale canale di rielaborazione di valori e interessi, quello dei corpi intermedi, franato sotto il peso della società liquida, minando il delicato equilibrio tra stabilità di governo e rappresentanza politica.

Il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron

Lo testimonia la Francia, in cui Macron ha imposto una pesante riforma previdenziale senza voto parlamentare e, dopo il rinnovo dell’Assemblea Nazionale, ha escluso dal governo la coalizione vincitrice delle elezioni. La crisi della Quinta Repubblica indotta da queste forzature non tarderà a generare un malcontento che l’estrema destra è pronta a capitalizzare. Anche l’ascesa di un capitalismo finanziario incarnato dai grandi fondi di investimento, sempre più pervasivo e libero da vincoli di legge, sta mostrando di potere influire sulle dinamiche politiche in modo più incisivo dove il capo del governo è espressione diretta del voto popolare.

E’ il caso degli Stati Uniti, dove il fomentatore di un tentato golpe, Trump, occuperà la Casa Bianca, senza alcun controbilanciamento – Congresso, Senato, Corte Suprema sono a maggioranza repubblicana – con il determinante contributo di Musk, l’uomo più ricco del mondo, che assumerà ruoli di governo nonostante i conflitti di interesse dovuti ai rapporti tra ampi settori dell’amministrazione e le sue imprese fornitrici di sistemi di comunicazione e difesa; l’incarico alla revisione della spesa federale prelude al taglio delle risorse a favore delle classi più vulnerabili da parte del leader di una nuova oligarchia anarcocapitalista ed estranea alle regole democratiche, come dimostrano anche i suoi attacchi al potere giudiziario in Italia. In questi scenario introdurre in Costituzione l’elezione diretta del capo del governo, come ha fatto il Parlamento italiano in prima lettura la scorsa estate, apprestandosi alla seconda e definitiva votazione nei prossimi mesi, significa esaltare formalmente la volontà popolare ma rendere in realtà più fragile una democrazia che ha bisogno di allargare la partecipazione e la diffusione del potere, anziché essere fagocitata dai magnati della finanza e delle piattaforme digitali.

Davide Tondani