Nuovi armamenti per favorire la transizione ecologica

Sconcertante parere del Parlamento: voto unanime per finanziare nuove armi con i prestiti del Recovery Fund

“Il rinnovo degli armamenti dell’arsenale italiano può contribuire alla transizione ecologica del nostro Paese”: è la sconcertante posizione che emerge dalle relazioni votate all’unanimità dalle Commissioni Difesa della Camera e del Senato alla fine di marzo. Le linee guida del Next Generation Eu, che Bruxelles ha inviato ai governi dei 27 Stati dell’Unione europea in vista della elaborazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), prevedono interventi su tre assi: transizione ecologica, lotta al cambiamento climatico, digitalizzazione.
Per le Commissioni Difesa del Parlamento italiano, il settore militare può rientrare nella transizione ecologica e ricevere dunque 11 dei 209 miliardi di euro in arrivo per produrre nuovi mezzi e sistemi d’arma “verdi”. Questa stupefacente associazione tra armi ed ecologia è riportata nero su bianco nella risoluzione della Commissione Difesa della Camera, che raccomanda di “incrementare la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica”.
Impressiona l’unanimità del voto in entrambi i rami del Parlamento: nessuno, tra sinistra, destra e M5s, che un decennio fa tuonava contro gli acquisti dei caccia F135, si è sottratto al sostegno ad una palese forzatura per non tagliare fuori dai benefici del Recovery Fund la potente industria militare, i cui rappresentanti (le aziende della difesa e della sicurezza associate in Aiad-Confindustria, i produttori di munizioni sportive e civili riuniti in Anpam, il colosso pubblico Leonardo) sono stati auditi nel corso dei lavori delle commissioni rappresentanti dell’industria militare, mentre nessuno spazio hanno ottenuto le associazioni da anni impegnate sui temi della difesa civile nonviolenta e della riconversione occupazionale dell’industria bellica.
Le indicazioni elaborate in Parlamento verranno ora inviate al Governo, che avrà l’ultima parola in merito, ma i cui orientamenti sono stati evidenziati dal sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulé (FI), che ha spiegato come il parere delle commissioni “nei contenuti e perfino nella scelta dei vocaboli, corrisponde alla visione organica che del PNRR ha il Governo” e che si è compiaciuto del sostegno trasversale ad “incrementare la spesa della Difesa fino a raggiungere l’obiettivo del 2% del Pil”.

Le reazioni della società civile e del mondo cattolico

La rete italiana Pace e Disarmo, un network “laico” di associazioni pacifiste (tra le quali Pax Christi, Agesci, Acli, associazione Papa Giovanni XXIII, conferenza degli Istituti Missionari e Accademia apuana della pace) ha dichiarato che “non possiamo accettare che le basi da cui far ripartire il nostro Paese siano armate e ancora una volta si privilegino gli interessi delle industrie belliche anziché affrontare con nuovi e più sensati strumenti le sfide epocali che abbiamo di fronte… il lavoro per la Pace è anche un contributo al futuro ecologico”. In tema di pace, il magistero cattolico si è pronunciato più volte anche di recente.
Papa Francesco, nel messaggio Urbi et Orbi di Pasqua: “La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi”. In precedenza, intervenendo all’Assemblea dell’ONU dello scorso settembre, aveva esortato a “smantellare le logiche perverse che attribuiscono al possesso di armi la sicurezza personale e sociale… alimentando un clima di sfiducia e di paura tra le persone e i popoli”.
Poche settimane prima, nel convegno “Preparare il futuro. Costruire la pace al tempo del Covid-19”, l’economista suor Alessandra Smerilli, del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, si chiedeva: “Ha senso continuare a fare massicci investimenti in armi se poi le vite umane non possono essere salvate perché mancano le strutture sanitarie e le cure adeguate?”.
Nella stessa occasione, il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, proponeva di “congelare la produzione e il commercio delle armi” per soccorrere “i malati, i poveri, gli emarginati e le vittime dei conflitti”.

 

An employee assembles a rifle for sale at a gun shop in the Iraqi capital Baghdad on September 22, 2020. (Photo by AHMAD AL-RUBAYE / AFP)

Cacciabombardieri, sottomarini, nuove unità anfibie e cacciatorpedinieri, elicotteri ma anche investimenti negli armamenti ad intelligenza artificiale e senza equipaggio, rientranti nei famigerati “killer robots”: questi i prodotti su cui sarebbero convogliati i fondi.
Strumenti a maggiore sostenibilità ambientale? Soprattutto strumenti di morte e che – al contrario di tanti luoghi comuni – non portano alcuno sviluppo, come dimostrano le ricerche economiche più recenti, come ad esempio il libro “Economia della Pace” (Il Mulino, 2017) dell’economista dell’Università Cattolica di Milano, Raul Caruso.
Tutto questo mentre la Difesa è già destinataria di 36,7 dei 143,9 miliardi di euro stanziati (circa 27 per il solo acquisto di sistemi d’arma) dei Fondi Pluriennali di investimento e sviluppo infrastrutturale 2017-2034. Cifre che non conoscono austerità né tagli: nel solo budget 2021 del Ministero per lo Sviluppo Economico oltre il 70% del programma di “Promozione e attuazione di politiche di sviluppo, competitività e innovazione” per le imprese finisce in nuovi sistemi militari.

(Davide Tondani)