Centrafrica e coronavirus: non dimentichiamo  le altre malattie

La situazione sembra sotto controllo. Il racconto di p. Antonio Triani

Pubblichiamo un importante contributo di padre Antonio Triani sulla situazione Covid-19 in Africa e in particolare nella Repubblica Centrafricana, dove il cappuccino pontremolese svolge la sua missione.
La prima parte risale al mese di maggio ed è ripresa da “Lo farò volentieri”, periodico di formazione e informazione missionaria pubblicato dal Centro di Cooperazione Missionaria dei Cappuccini di San Martino in Rio (RE); segue una seconda parte aggiornata pochi giorni fa da padre Antonio, dietro nostro invito.
Farà piacere ai nostri lettori sapere che, al nostro inevitabile “come stai?”, il missionario ha risposto con un sottile: “Sto abbastanza bene: del resto in questo tempo di pandemia l’aria di Bouar è più salubre che in altre parti del mondo”.

P. Antonio Triani in Centrafrica (Foto Ivano Puccetti per il periodico “Lo farò volentieri”)
P. Antonio Triani in Centrafrica (Foto Ivano Puccetti per il periodico “Lo farò volentieri”)

Nel nostro Centrafrica, già duramente provato, è arrivato pure il coronavirus. Quali le conseguenze? Al momento poco significative riguardo alla malattia in sé, più rilevanti nell’insieme. Al momento, l’annunciata catastrofe sanitaria non si è verificata: l’epidemia di Covid-19, in Africa, il tasso di trasmissione, di diffusione virale e di mortalità risulta più basso che altrove. In un continente che conta 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, al 18 maggio, risultano circa 78.000 contagi con 2.600 decessi.
In Centrafrica il primo caso risale al 14 marzo. Finora sono stati registrati (dopo solerte ricerca) 366 positivi, con nessuno o pochi sintomi e zero decessi. Diversi i motivi possibili: le infezioni respiratorie si presentano più frequentemente nelle stagioni freddo-umide, mentre qui fa sempre caldo; non c’è inquinamento ambientale; la popolazione è prevalentemente giovane.
D’altro lato i governi africani hanno applicato misure di prevenzione e contenimento, anche per usufruire degli aiuti offerti dalla comunità internazionale. In Centrafrica, sono state chiuse le frontiere, sospese le scuole, imposte limitazioni agli spostamenti ed ai pochi trasporti pubblici, diversi piccoli esercizi commerciali sono chiusi. Siccome buona parte della popolazione lavora in modo precario e saltuario, alla giornata, tali provvedimenti, più severi in altri paesi limitrofi, hanno impedito lo svolgersi di attività ordinarie di sussistenza.
Così la gente teme di più il lockdown che il virus e talora si ribella: le forze dell’ordine hanno ucciso dodici persone a Lagos, in Nigeria, e sette in Guinea per mancato rispetto del confinamento.
Senza parlare, qui da noi, del problema dei gruppi armati irregolari, sempre presenti nel territorio: ad inizio mese, in uno scontro tra opposte fazioni, in una città del nord-est, Ndele, sono state uccise oltre 100 persone, tra cui molti civili.
Parlando della pandemia, papa Francesco ha detto che esistono altre pandemie in atto nel mondo che fanno danni e vittime: guerre, fame e ignoranza. L’epidemia causata dal coronavirus non dovrebbe farci dimenticare le altre, escluse spesso dai riflettori mediatici.

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Dopo oltre due mesi, le considerazioni espresse a maggio valgono ancora specie per le regioni tropicali ed equatoriali. In generale, si ha la conferma che l’Africa ha registrato tassi di contagio e di mortalità inferiori. Al 23 luglio, erano stati registrati circa 760.000 casi e 15.000 morti. L’incremento dei positivi riguarda principalmente il Sudafrica, che conta più della metà dei contagi. Là sono ora in pieno inverno. L’Egitto, poi, si avvicina ai 100.000 casi segnalati.
Qui, in Repubblica Centrafricana, ad oggi, il Ministero della Sanità ha dichiarato 4.574 casi con 55 decessi, senza ulteriori specificazioni. Da poche settimane siamo in periodo di alleggerimento delle misure preventive. Il problema perciò esiste, ma andrebbe valutato con equilibrio, relativizzato, in una visione globale, tenendo conto di altre malattie e situazioni locali, praticamente ignorate nei nostri Paesi occidentali. Ad esempio, secondo UNICEF, OMS e Banca mondiale, oltre 200 milioni di bambini soffrono di una qualche forma di malnutrizione.
La FAO dichiara che si tratta della causa numero uno di morte nel mondo. Il rapporto 2018 delle Nazioni Unite stima a 38 milioni i decessi annui per carenze alimentari. Naturalmente sono i Paesi a basso reddito o sedi di guerre spesso dimenticate a pagare il maggior tributo.
Esistono qui molti Centri Sanitari che seguono queste situazioni, con patologie connesse, difficili da gestire. Per la malaria, nel solo continente africano, le statistiche riportano 213 milioni di casi con 403 mila morti nel 2018. Nel mondo 38 milioni di persone sono positive al virus dell’AIDS, in prevalenza a sud del Sahara (già diversi stati temono una interruzione dei prodotti per i pazienti sotto trattamento).
A causa della tubercolosi si registrano ogni anno 1,4 milioni di morti, in maggioranza tra i poveri del pianeta. Pur essendo doveroso premunirsi onde evitare il contagio, il rischio è di focalizzare gli sforzi sulla sola patologia del coronavirus, con il sostegno di una dittatura mediatica e dietro pressioni di istituzioni internazionali, facendo uso di provvedimenti e disposizioni eccessive, trascurando altri problemi, anche sanitari, più rilevanti.
La gente a volte si ribella al lockdown imposto, che ha causato aumenti dei prezzi dei generi alimentari, inflazione, perdita di lavoro. Si tratta di persone che vivono alla giornata, senza conti in banca o grandi scorte di cibo. Nel gergo comune dicono che il coronavirus costituisce una “malattia dei bianchi “. Le forze dell’ordine arrivano ad uccidere chi non rispetta le restrizioni.
Nell’articolo precedente citavo Nigeria e Guinea; in Kenia sono 15 gli uccisi dalla polizia. Purtroppo, talora, interessi politici ed economici si uniscono alla lotta contro la pandemia. Nel contesto africano che vede le istituzioni democratiche più fragili, le derive autoritarie vanno considerate.

p. Antonio Triani