
È quello della famiglia Riani a Casette, nel territorio comunale di Fivizzano al confine con quello di Casola. Macina olive da più di due secoli
È conosciuto anche come il “Frantoio del cucù”, perché la spremitura era garantita, a partire dall’autunno, fino ad aprile. Ora è più noto con il nome di “Frantoio Riani con macine in pietra”, che si trova a Casette, frazione di Fivizzano, al confine col Comune di Casola.
È Adriano Riani il titolare, che sta perpetuando un’attività ereditata dal padre Nillo, ma iniziata dai suoi bisnonni oltre due secoli fa, quando l’acquistarono dai primi proprietari, la famiglia Angeli di Codiponte. Adriano riferisce anche di una antica diatriba fra gli Angeli e i Bartoli ( gli atti sono depositati negli archivi del tribunale di Lucca) per l’utilizzo delle acque dell’Aulella, da cui dipendeva la movimentazione delle possenti macine, oggi assicurata dall’energia elettrica, anche se Riani ne mantiene la concessione.
Un’icona di marmo ricorda la visita del vescovo Milani nel mese di ottobre 1875. In questo angolo di Lunigiana la mosca olearia non arriva e l’olivo si coltiva da secoli. Oggi i produttori arrivano da tutta Italia per frangere qui le loro olive.
Sono queste macine, di pietra arenaria, che caratterizzano il frantoio e che, utilizzate in un contesto di studiate tecniche, calcolati tempi, giuste temperature, risultano fondamentali per produrre un olio extravergine di alta qualità, dolce. “Le macchine sono moderne, le macine girano dentro strutture in acciaio inossidabile, ma la frangitura avviene a freddo, come facevano i nostri nonni”.
Adriano tiene a questa precisazione, che evidenzia il legame ed il rispetto della tradizione. Ovviamente non sarebbe possibile ottenere un olio così delicato se la materia prima, le olive, non provenisse da uliveti di “antica e pregiata coltivazione”, di cui è ricca la Lunigiana, in particolare quella orientale, dove non arriva “la mosca olearia né il cicloconio”.

Le olive, inoltre, vengono selezionate con cura, privilegiando quelle a maturazione tardiva. “Non ci vuole fretta né a raccoglierle né a frangerle” e ancora: “La macinazione deve essere lenta ed omogenea, per frantumare dolcemente l’oliva”, sono i motti proferiti con decisione da Adriano, mentre indica un’icona di marmo incastonata nell’angolo di una parete esterna al frantoio, che poggia su un basamento con la scritta della visita dell’arcivescovo Milani nell’ottobre del 1875.
Su una lastra sottostante sono scolpiti dei ramoscelli d’ulivo tra i quali appare la figura di un cucù. “A chi, genuflesso, recita un’Ave Maria – si legge – viene concessa un’indulgenza di 30 giorni”. L’ambiente del frantoio, che dà lavoro ad alcuni dipendenti, è semplice ed accogliente, disseminato di sedie su cui le persone attendono il completamento della propria frangitura, magari bevendo un bicchiere di vino o gustando una bruschetta, il proprietario ospitale.
Anche per questo, ma certo per la sua specificità ormai unica in provincia, il frantoio è ricercato e frequentato da numerosi coltivatori, anche di fuori provincia: ultima a prenotarsi una delegazione di proprietari di uliveti provenienti da Parma.
Dal punto di vista della quantità e della resa, “si prospetta una buona annata, anche se non eccezionale”, di questo prodotto ricercato e sempre presente a tavola, che da oltre seimila anni, pare, è “fonte di luce, alimento, simbolo religioso, unguento per atleti”, tanto prezioso e “caro”, che, ancora oggi se si rovescia o si rompe il suo contenitore, con superstizione si dice che “porta male”.
Si capisce, quindi, perché gli uliveti siano ancora così diffusi e curati in tutto il territorio comunale e perché il frantoio di Riani non sia l’unico a frangere, essendone in attività altri, seppur con diverse metodologie di spremitura.
Andreino Fabiani