Verso le elezioni: cambiano le parole, non la musica

45parlamentoSi sta avvicinando la data delle elezioni e la campagna elettorale ha improvvisamente voltato pagina. I politici si sono resi conto che temi che vanno dal reddito di inclusione alla riduzione o abolizione delle varie tasse non scaldano più di tanto e la gente non crede più alle sparate.
Da qui l’improvvisa virata sull’immigrazione: così Macerata è diventa il fulcro delle dichiarazioni. L’atroce delitto di Pamela e la sparatoria di Traini infiammano le piazze. La polemica cresce attorno alle tematiche dell’immigrazione e del fascismo o antifascismo. Si è creato un clima di paura e di insicurezza attraverso i mezzi di informazione e i social media che ogni giorno illustrano situazioni di disagio trasformando problematiche locali in eventi nazionali. Oggi gli omicidi sono in calo, gli immigrati sono in chiara diminuzione, ma si continua a parlare di invasione. Si ha tanto l’impressione che si tratti di un tentativo di depistaggio.
Si va cinicamente a cercare il terreno che può portare più voti in cascina tralasciando i veri problemi del Paese: povertà, economia, lavoro. Non si può nascondere la debolezza di un Paese sempre in bilico sul fronte dei conti pubblici.
È vero che c’è la ripresa, anche se ancora inferiore alle aspettative, e che lo Stato incassa più di quanto spende, ma questo “avanzo primario” viene eroso completamente dagli interessi che si debbono pagare per far fronte all’enorme debito pubblico.
Negli ultimi 20 anni l’Italia ha pagato, in interessi sul debito, 1.700 miliardi di euro. Nel decennio 1990-2000 gli interessi superavano i 100 miliardi annui. Solo dopo il 2009 si è scesi al di sotto di quella soglia. Nel 2017 se ne sono pagati 47.000: un paio di finanziarie.
Pensare, con questa zavorra, di poter attuare le promesse esorbitanti e non rispettare i patti e i limiti del deficit vuol dire andare veramente verso il baratro. Come è estremamente rischioso sfasciare riforme faticose e dolorose, ma necessarie: sicuramente andranno ritoccate, ma pensare di sfasciarle o di abolirle non è cosa intelligente.
A questo proposito non sarebbe male ricercare il dialogo con sindacati e associazioni di categoria per rimettere i piedi per terra. Oggi sembrano totalmente emarginati perché i partiti sembrano preferire il dialogo diretto con la pancia della gente e questo si chiama populismo.

Giovanni Barbieri