
Domenica 21 aprile – IV di Pasqua
(At 4,8-12; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18)
Dal 1964 per iniziativa del papa San Paolo VI la Domenica del Buon Pastore è dedicata alla preghiera per le vocazioni: “La presente domenica, che nella Liturgia Romana prende dal Vangelo il nome del Buon Pastore, veda dunque unite in un unico palpito di preghiera le schiere generose dei cattolici di tutto il mondo, per invocare dal Signore gli operai necessari alla sua messe”.
1. Il buon pastore. Giovanni Battista aveva presentato Gesù come ‘Agnello di Dio’. Gesù non rifiuta questa definizione, ma lui non si proclama ‘Agnello’, bensì ‘Pastore’, e si paragona a un uomo che ha cento pecore, e “se una di loro si smarrisce, lascia le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita. E se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite” (Mt 18,12-13).
La spiegazione teologica più bella e più poetica l’abbiamo nella liturgia di Pasqua, dove si dice che l’Agnello è divenuto il Pastore: “L’Agnello ha redento il suo gregge, l’Innocente ha riconciliato noi peccatori con il Padre”.
2. Il Buon Pastore dà la propria vita. La misericordia per l’uomo ferito da soccorrere ha messo le ali ai piedi di Gesù, il quale durante il suo ministero sentì intensamente la compassione per coloro che lo seguivano: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36).
Questa compassione non si è limitata a dare buoni consigli o a proclamare una regola comportamentale, ma ha spinto Gesù a offrire la propria vita con un gesto di abbandono verso il Padre e di donazione ai fratelli.
Con l’offerta della propria vita ha compiuto un’opera unica di mediazione tra Dio e gli uomini, è diventato l’unico grande sacerdote che intercede per noi presso il Padre e ci conduce alla vita eterna del suo Regno.
Il fatto di aver offerto non qualcosa di diverso da sé, ma la sua stessa vita, rende inutili i sacrifici legati al tempio di Gerusalemme e anche quelli di tutti i popoli.
La sua mediazione è diventata il ‘trono della grazia’ che permette ai cristiani di aprirsi a Dio: “Poiché abbiamo un sommo sacerdote grande, che è passato attraverso i cieli, Gesù il Figlio di Dio, accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia” (Eb 4,14.16).
3. Diventeranno un solo gregge, un solo pastore. L’unità dei credenti in Cristo non è una iniziativa umana dovuta a simpatie o a calcolo di forze, perché uniti si rappresenta qualcosa e si vince.
L’unità è comunione con il Signore Gesù, è docilità alla voce dello Spirito che spesso parla attraverso il più piccolo o l’ultimo arrivato, è il punto di partenza per ogni evangelizzazione.
Nella Chiesa non ci si divide in maggioranza e minoranza, ma si cercano nel dialogo punti di convergenza, perché la verità non è il risultato di votazioni. Tra cristiani non si cerca il consenso, ma la concordia.
† Alberto