
I cinque morti nel cantiere Esselunga di Firenze del 16 febbraio hanno riportato in prima pagina la strage delle morti sul lavoro, uno stillicidio di lutti che nemmeno fa più notizia, se non sulle cronache locali dei luoghi di volta in volta coinvolti. Nel 2023 sono stati 1.485 i morti sul lavoro (smettiamo di chiamarle “morti bianche”). Nei primi 50 giorni del 2024 sono morti altri 145 lavoratori. Le passerelle delle autorità politiche sul luogo della strage o in città, il cordoglio, la promessa di mettere mano a leggi e sanzioni, si scontrano con la realtà dei fatti: per la sicurezza sul lavoro non si fa abbastanza sul piano della cultura della prevenzione e si fa pochissimo sul piano dei controlli, affidati ai pochi uomini (un ispettore ogni 40 mila lavoratori) dell’Ispettorato del Lavoro.
Ma occorre guardare al tema della sicurezza in un’ottica ancor più ampia e complessa. Quando al lavoro si sottrae peso politico, dignità sociale e congruità della retribuzione, si creano le condizioni perché i lavoratori non siano più uomini e donne che concorrono al progresso materiale o spirituale della società, capaci di assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa, come sancito dagli articoli 4 e 36 della Costituzione, ma si riducano a fattori della produzione, per usare l’arido gergo economico, elementi il cui costo – salariale e relativo alla sicurezza – deve essere minimizzato per assicurare più ampi margini di profitto. Le riforme del mercato del lavoro che si sono succedute negli ultimi 25 anni – sostenute da destra e da sinistra, nessuno escluso – hanno prodotto proprio questo. Tirocini, lavoro in somministrazione e a progetto, libertà di licenziamento, uso massivo dei contratti a termine hanno reso il lavoro una merce come tante, deprezzata e svalutata.
Quanto emerge dalla tragedia di Firenze ce lo conferma: in assenza di un contratto unico di cantiere, da anni richiesto senza risultato dai sindacati, laddove la catena dei subappalti è lunghissima, si inquadrano le persone come giardinieri o metalmeccanici per aggirare i diritti economici e i corsi sulla sicurezza assicurati dal contratto dell’edilizia. E si assumono in nero persone che non hanno alternative: immigrati (lo erano 4 dei 5 caduti dell’Esselunga), spesso resi irregolari da normative immorali e prive di senso, o italiani non in grado di fare altri lavori: è la cultura dello scarto denunciata da Papa Francesco, applicata al mondo del lavoro. In questi giorni si discute di nuove norme, controlli, sanzioni da inasprire. Tutto giusto, ma insufficiente fino a quando non si tornerà ad affiancare l’etica all’economia e a riaffermare il principio, proprio della dottrina sociale della Chiesa, della priorità del lavoro nei confronti del capitale: l’uomo viene prima del profitto.
Davide Tondani