
La strenna del Centro Lunigianese di Studi Giuridici giunta alla 46.ma edizione. Le lastre con le epigrafi che ricordano l’incendio del 1495 e i “facion” sui palazzi. Dai sassi e le tecchie di Grondola, alle sculture in San Caprasio ad Aulla
È la pietra il filo rosso che lega i vari articoli e racconti che compongono l’Almanacco Pontremolese 2024. Del resto si tratta dell’elemento che più di ogni altro contraddistingue il nostro borgo, a partire dal Castello, i ponti, senza dimenticare le Statue Stele o ancora i “piagnoni” delle piazze del centro storico.
Un viaggio all’interno di un elemento cardine del territorio, che parte con un pezzo scritto da Luciano Bertocchi il quale racconta dell’incendio che devastò la città di Pontremoli tra il 28 e il 30 giugno 1495, e che viene documentato da due epigrafi su arenaria collocate nel centro storico. Un evento tragico con la città che fu distrutta dal fuoco appiccato da un reparto di mercenari svizzeri giunto come avanguardia dell’esercito di Carlo VIII.
Più leggero l’argomento trattato da Angela Bergamaschi che racconta del “sasso di San Nicomede” presente nella frazione di Grondola. Un macigno che si erge solitario sul limitare del bosco e che deve il suo nome alla consuetudine di deporvi la statua del santo, patrono del borgo, in occasione della processione del 15 settembre.
Si sofferma sulla lavorazione della pietra l’intervento di Rossana Piccioli, evidenziando come in Lunigiana l’impiego dell’arenaria è noto fin da epoca remota, per molteplici usi. Senza dubbi, in tempi più recenti, uno degli usi più importanti era quello legato alla costruzione di una macina da mulino. La pietra più adatta per una macina da castagna era il “sasso renaio” che si trovava lungo l’alto corso del torrente Bagnone, diverso dal “sasso calcinaro” più adatto a molare le granaglie.
Paolo Lapi sofferma il suo intervento sulle pietre “sopravvissute” della Chiesa di San Pietro dopo il bombardamento della seconda Guerra Mondiale. Dalle sue macerie si sono infatti salvate due pietre: una è la pietra dell’architrave del palazzo dei vescovi dove sono scolpiti due stemmi (uno quello di Pontremoli e il secondo è di difficile attribuzione) e la figura di San Pietro con le chiavi consegnategli da Cristo; l’altra è la pietra del labirinto con al centro il monogramma cristologico “IHS”.
L’artista pontremolese Luciano Preti offre un excursus nella sua attività di scultore presentando alcune delle sue opere realizzate con la pietra ed evidenziando come si crei un rapporto magico con la materia che diventa linguaggio.
I “facion” dei palazzi del centro storico di Pontremoli sono al centro dell’articolo di Giuseppe Benelli. Si tratta di una sorta di mascherone minaccioso in pietra che sulle architravi dei portoni aveva il compito di respingere persone sgradite e spiriti maligni. Benelli evidenzia che i facion del centro storico pontremolese sono stati scolpiti da veri maestri di stile e ricercatezza, espressione di una tradizione che risale alla cultura delle statue Stele.
Riccardo Boggi offre un ricco spaccato con un viaggio attraverso le pietre presenti nell’Abbazia di San Caprasio ad Aulla. Un viaggio che racconta una storia millenaria dai marmi romani fino ai draghi di Oberto. L’area delle Tecchie del Groppo, a nord della frazione di Grondola, costituita da una serie di enormi massi scivolati dalla montagna è raccontata da Angela Bergamaschi. Un sito che per l’abbondanza di macigni in passato era fonte di approvvigionamento di pietra arenaria.
Ci offre un excursus sulle pietre e sui marmi presenti a Villa Dosi, Andrea Baldini. Con “Pietra” si fa per un momento un salto nella fantasia con un racconto di Giulio Cesare Cipoletta, scritto dalla prospettiva di una pietra del centro storico pontremolese che racconta la sua giornata con la cronaca di chi letteralmente gli “passa sopra”.
Racconta la lunga ed articolata storia dei piagnoni delle piazze del centro storico Natalino Benacci, incentrandosi in particolare sui lavori di sostituzione del lastricato (ormai usurato) avvenuto tra il 1841 e il 1846 per volere del granduca di Toscana.
L’Almanacco si conclude con un pezzo di Paolo Lapi che fa un giro a 360° per le vie della città, raccontando di come le pietre presenti siano lo specchio e la voce silenziosa di questa terra antica.
(r.s.)