
Sempre più gravi anche nel nostro Paese gli effetti che derivano dalla carenza di precipitazioni e dall’aumento delle temperature

Tra le tante brutte sorprese che in questi ultimi tempi ci stanno risvegliando dai nostri sogni di benessere senza limiti (sia pure su livelli differenziati secondo le classi economiche di appartenenza) le ultime notizie collocano anche un fenomeno che in Italia è sempre stato limitato a poche e ben determinate aree: la siccità.
Quando si pronuncia questo nome, il pensiero corre all’Africa, agli spot pubblicitari delle organizzazioni umanitarie, che mostrano foto di terreni spaccati dall’aridità e lanciano appelli per raccolte di fondi tese a rendere meno dura l’esistenza di quei popoli. Certo, in Europa e in particolare in Italia non siamo ancora a quei livelli, né forse ci arriveremo mai, ma la parola in questione non è più così fuori luogo, almeno a prendere per buone le statistiche degli ultimi anni. D’altronde, va detto che non è da oggi né da ieri che gli esperti mettono in guardia sulla possibilità di dover dedicare maggiore attenzione all’uso dell’acqua. Ma, complice forse anche il poeta che le ha cantate, l’idea delle “chiare, fresche e dolci acque” l’ha sempre vinta, finora, sulle paure di un loro venire meno.

Eppure le cose stanno cambiando in modo deciso. Secondo i dati dell’ultimo bollettino pubblicato dall’Osservatorio sulla siccità – Servizio climatico CNR-IBE (Istituto per la BioEconomia), infatti, un inverno con 100 giorni senza piogge – e con 50% di neve in meno rispetto al 2020-2021 -, cui ha fatto seguito l’anticipo della stagione calda di questa anomala primavera, ha fatto sì che diverse zone in Europa – Pianura padana da noi e bacino idrico del Danubio nel centro Europa – siano ora colpiti da una siccità estrema che riguarda oltre il 25% di quei territori.
A farne le spese, in Italia come in Spagna e in Portogallo, è per ora soprattutto l’agricoltura, già messa a dura prova dalla crisi delle fonti energetiche e dei concimi. Inoltre, la scarsità di risorse idriche, in prospettiva, potrebbe arrivare a interessare, in modo diretto anche le popolazioni che vivono in quei territori, con percentuali che potrebbero giungere al 50%. Se non siamo al disastro, siamo comunque di fronte ad un problema serio perché i dati generali sull’andamento del clima dicono che da quella parte non potremo aspettarci grandi aiuti. L’innalzamento della temperatura dà il suo decisivo contributo all’inaridimento del suolo e se si pensa alle alte temperature registrate a febbraio, unite all’azione di essicazione causata dai venti caldi, i conti sono presto fatti. Come si diceva, nella Pianura padana i risultati, al di là delle statistiche, sono visibili a occhio nudo, con i fiumi, a partire dal Po, che lasciano scoperti nuovi tratti di solito coperti dalle acque, a causa di cali di portata che arrivano a sfiorare l’80%; misure che di solto si registrano nei mesi estivi. Stessa sorte tocca ai fiumi del Veneto e ai laghi, anche ai “grandi” laghi come il Garda e il Maggiore, oltre che ai bacini artificiali per la produzione di energia idroelettrica.

Secondo i dati resi noti dall’Associazione Nazionale Consorzi Gestione Tutela Territorio ed Acque Irrigue (ANBI), non è immune da questa crisi nemmeno la Toscana, anche se la nostra regione, nel corso di questi ultimi mesi, ha fatto registrare un andamento più altalenante. Nel bollettino del 5 aprile si scriveva che “in Toscana sembra incontenibile il generalizzato calo di portata in tutti i fiumi”. Poi, il 29 aprile, grazie alle piogge finalmente cadute con una certa abbondanza erano state valutate “ottime le performance dei fiumi toscani, risaliti tutti sopra media, con l’Arno schizzato da 31,40 a 154,20 metri cubi al secondo. Ottimismo di breve durata perché il 27 maggio si è tornati a valutare “largamente insufficiente la condizione idrica nella Toscana, soprattutto nelle zone meridionali della regione”. Nei giorni precedenti le piogge erano state “irrisorie, addirittura inferiori ai 10 millimetri su alcune zone del Grossetano e dell’Aretino” e in quel momento l’Ombrone registrava “una portata di 1,86 metri cubi al secondo, inferiore al Deflusso Minimo Vitale (2,00 metri cubi al secondo); uno dei picchi più bassi dei più recenti 20 anni.
La regione dell’Arno, da parte sua, registrava 11,20 metri cubi al secondo. Come si diceva, la prima attività produttiva a far le spese di tutto questo è l’agricoltura, con le inevitabili conseguenze negative che ricadono sulla filiera alimentare e poi sui costi dei prodotti, freschi o conservati che siano. Anche per questo, come per altri problemi, non c’è più tempo per le chiacchiere, c’è bisogno di avviare progetti capaci di affrontare l’emergenza immediata ma anche di guardare ad un futuro che non è più così lontano dal manifestarsi con tutte le sue componenti negative.
a.r.