Ho imparato a vedere il Signore

Domenica 6 febbraio – V del Tempo Ordinario
(Is 6,1-2.3-8 – 1Cor 15,1-11 – Lc 5,1-11)

Io vidi il Signore. Ho imparato a vederti. Come ha imparato Isaia. Eri su un trono alto ed elevato, il tuo manto riempiva non solo il Tempio ma ogni angolo dell’Universo.
Anche oggi mi piace, a volte, venire a vederti nel Cosmo. Nel Creato. Ti vedo nelle montagne, nei pianeti, nel sole e nella pioggia. Ti vedo nella natura immensa, nella misteriosa vita degli animali, nella bellezza feroce delle piante selvatiche. Ti vedo nel roteare della terra, nel ripetersi delle stagioni, nei burroni, nelle galassie. Ti vedo. Immenso. E ho paura. Santo Santo Santo il Signore degli eserciti. Ho paura di tanta Infinità.
Ho imparato a vederti nell’Immensità perché mi piace sentirmi come Isaia, uomo perduto, sperduto, smarrito, piccolo. Ho anche pensato, anni fa, che tutto questo fosse roba passata, da Testamento Antico, che ormai con Gesù tu eri l’amico vicino, il Dio della porta accanto. Poi, per fortuna mi sono perso ancora, e ti ho visto, Immenso, Inafferrabile, Irriducibile. Mi son sentito ancora piccolo davanti all’Universo soprattutto quando ho capito che universo infinito era la Sofferenza, la Morte, l’Amore. Mi sono smarrito nella tua Immensità che ho trovato dentro i sentimenti, e io piccolo e impaurito e smarrito. Santo, Santo, Signore degli eserciti.
Ti ho poi visto nel volo della Parola bruciante che come carbone ardente viene a incendiare le labbra degli uomini innamorati di Te. E ringrazio perché la paura e lo smarrimento rimangono, il carbone ardente dell’angelo brucia la colpa ma custodisce l’umiltà. Manda me, se vuoi Signore, manda me con labbra brucianti ma lasciami ti prego un cuore capace di smarrirsi davanti all’Immensità, davanti al Creato, non portarmi mai via la lucidità della mia fragile inconsistenza, del mio essere soffio, passaggio, lembo sgualcito del manto dell’Altissimo che Tutto copre e riempie.

Due barche accostate. Ti ho visto nelle barche accostate della mia storia. Dove credevo di non essere nessuno, dove credevo di aver sbagliato tutto, quando finalmente sono sceso a terra, sconfitto e mi sono messo, con umiltà, a riparare reti. Ti ho visto nella rete da pulire. Nel gesto semplice e noioso, nel simbolo del tempo che si ripete, nel ricordo di una notte passata a pescare niente. Ti ho visto e ti ho sentito che mi sei camminato dentro. Per grazia di Dio ero quello che ero, e tu mi camminavi dentro, ero la barca tua, lo spazio tremolante e incerto, l’altare quotidiano della tua immensa feriale manifestazione. Per grazia di Dio ero un pescatore fallito.

don Alessandro Deho’