Mario è un nome di fantasia per tutelarne la privacy. La sua notorietà è dovuta al fatto che, essendo tetraplegico in una condizione di gravissima disabilità, condannato praticamente all’immobilità, ha chiesto ed ottenuto, dopo varie vicende, dal Comitato etico regionale delle Marche di avere accesso legale al suicidio assistito previsto da una sentenza della Corte Costituzionale del 2019. Si tratta di una sentenza che a suo tempo aveva avuto grande risonanza. Essa poneva dei requisiti e stimolava il Parlamento a legiferare sul fine vita. Questo non è ancora avvenuto e i problemi restano.
I paletti posti dalla Consulta sono vari e chiari: la persona deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili, deve essere tenuta in vita da trattamenti artificiali di sostegno vitale ed essere in grado di esprimere una decisione libera e consapevole.
Tuttavia, nel caso specifico, il Comitato Etico ha manifestato varie perplessità in quanto non sembra vi siano strumenti artificiali quai l’idratazione e l’alimentazione forzata e non siano chiari i procedimenti per l’attuazione del suicidio assistito in quanto non esistono protocolli a riguardo e non si comprende chi dovrebbe operare. Ma ci sono anche perplessità circa la scelta del dosaggio del farmaco letale e le modalità di somministrazione. Il tutto è così rimandato al Tribunale di Ancona.
È fuori luogo comunque l’euforia dei Radicali e dei loro soci come quella di chi, in modo trionfale, definisce il fatto come “il primo caso di suicidio assistito” nel nostro Paese. A dire la verità non c’è nulla per cui esultare. Si ratta del dramma di una persona che vuol scegliere la morte. Non c’è molto da gioire. Dietro le “lotte” per la libertà di scelta che, attraverso situazioni di frontiera e drammatiche nel loro dolore, si presentano c’è un disegno piuttosto preciso: distruggere l’idea dell’intangibilità della vita. Si tenta di aprire spiragli sempre più ampi per arrivare all’eutanasia.
“Mario” non è attaccato a nessuna macchina, ma si vuole ugualmente sostenere che dipende da sostegni vitali… A questo punto ogni terapia diventa un sostegno vitale e quindi… Ci sono, a dir poco, incoerenze e contraddizioni nei confronti di una comunità civile che ritiene reato grave l’omissione di soccorso anche nei casi disperati e si batte contro la pena di morte.
Se non si trattasse di cosa estremamente seria si potrebbe anche ironizzare: il farmaco scelto è il Tiopentale sodico, il farmaco usato in 37 Stati nei quali vige la pena di morte. Non deve mancare il rispetto per chi soffre e per chi vive situazioni di estremo dolore, ma oggi ci sono altre strade percorribili per affrontare la vita. I mezzi per accompagnare le persone a cominciare dalle cure palliative non mancano.
Tra l’altro viene contemplata anche la possibilità della sospensione di tutti i trattamenti che vengono considerati sproporzionati dal paziente.
Giovanni Barbieri