Vuoi farti male?

Domenica 10 ottobre – XXVIII del tempo ordinario
(Sap 7,7-11 – Eb 4,12-13 – Mc 10,17-30)

“Perché mi chiami buono?” e la corsa si ferma dentro ginocchia piegate. E anche Gesù rimane, immobile. Con quella domanda scandalosa posta di traverso come a inceppare un eccesso di entusiasmo. “Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono” e l’uomo in ginocchio deve tornare in sé. Stava correndo incontro a quel maestro per ottenere risposte e ora si ritrova a fare i conti con delle domande. Domande difficili a rallentare quella corsa lunga una vita. Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna? Credeva fosse la domanda perfetta. Era il cuore di quello che stava cercando. Sperava in una risposta, ora, in ginocchio davanti a lui sente il peso di un interrogativo che non aveva messo in conto: perché mi chiami buono? Solo Dio è buono. Che è un modo per ridare peso e dignità alle parole. Gesù ferma la corsa, sfila fuori le parole che servono e le mette davanti agli occhi dell’uomo in ricerca. E le parole sono: Buono e Dio. E tutto si rallenta, solenne, lento, si sta decidendo della nostra identità: nessuna corsa. Come togliersi i sandali davanti al Mistero. Rallentiamo anche noi, noi uomini e donne che forse non corriamo più incontro al Signore ma che abbiamo sempre sulle labbra parole troppo grandi rispetto alle nostre miserie. Gesti troppo grandi, quelli liturgici, rispetto ai nostri cuori stanchi. Sogni troppo grandi, quelli del Vangelo, rispetto alle nostre banalità. Perché mi chiami buono? Sei sicuro di quello che stai dicendo? Sei sicuro che ancora vuoi credere nello smisurato amore del vangelo? Fermati un attimo, tu che anche oggi sei qui in chiesa e ti farai raggiungere dalle Parole del Vangelo, da un pezzo di pane che dici essere vitale, dal perdono, dall’abbraccio della comunità… sei sicuro? Fermiamoci anche noi. In silenzio, in ginocchio, e lasciamo che questi interrogativi ci riempiano il cuore. Nessun posto per il ritualismo, per l’abitudine, per la superstizione. Nessuna concessione al precetto. Qui è semplicemente questione di vita o di morte: perché mi chiami?
Lo capiranno bene gli apostoli quando, alla fine, in casa, chiederanno spiegazioni a Gesù: i discepoli erano sconcertati dalle sue parole… e Pietro che chiede… abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. E in quel contesto di smarrimento e di paura la risposta di Gesù arriva a consegnare una chiave di lettura: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e del vangelo che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. La vita moltiplicata. Moltiplicata nel bene e nel male, smisurata.

don Alessandro Deho’