Il ritorno della razza bovina Pontremolese

Originaria del territorio dei sei comuni dell’Alta Lunigiana è da molti decenni a rischio di estinzione, ma oggi può contare su un centinaio di capi. Animali di piccola statura e con arti corti e robusti sono stati a lungo utilizzati per il lavoro nei campi e nelle cave di marmo

La vacca Pontremolese per molti è una realtà dimenticata, per altri solo un ricordo lontano; tuttavia da qualche anno è tornata ad essere una risorsa per la Lunigiana.
Nel 2019 Francesca Gabrielli, radici a Gravagna e residenza a Pontremoli, si è brillantemente laureata a Pisa proprio con una tesi incentrata sullo “Studio qualitativo del latte della razza bovina Pontremolese ai fini del mantenimento della biodiversità”.
Le abbiamo chiesto di riassumere in questa pagina origini, caratteristiche e prospettive di un animale per secoli in simbosi con l’uomo, fondamentale elemento nell’economia e nella vita quotidiana di tutto il comprensorio. (p. biss.)

La razza bovina Pontremolese è riconosciuta come razza a rischio di estinzione, ad oggi conta pressappoco un centinaio di capi. In molti casi si usa l’accezione “razza reliquia” per sottolineare, non solo la ridotta numerosità, ma anche l’importanza dei pochi capi rimasti. Nonostante le molteplici iniziative a sostegno della salvaguardia della biodiversità e delle risorse genetiche autoctone, che hanno determinato un incremento dei capi, la Pontremolese rientra tra le razze iscritte al “Registro Anagrafico delle razze bovine autoctone e a limitata diffusione”.
L’origine del nome deriva, non dalla città di Pontremoli come erroneamente si potrebbe pensare, bensì dall’ex Circondario di Pontremoli comprensivo anche degli attuali comuni di Bagnone, Filattiera, Mulazzo, Villafranca e Zeri. Sinonimo accertato di Pontremolese è la denominazione Bettolesi: oltre ad indicare i bovini di razza Pontremolese allevati al di fuori dell’ex Circondario di Pontremoli, poteva essere attribuita ai soggetti adulti della medesima razza.
Dall’origine della denominazione deriva anche l’identificazione dell’area geografica in cui si è sviluppata ed adattata questa razza nel corso della storia, rendendosi perfettamente coerente con l’ambiente, il clima e la vegetazione del territorio lunigianese. Infatti l’ambiente scosceso dei pascoli appenninici, il clima poco stabile, le condizioni estreme nelle cave di marmo a Carrara, dove questi bovini erano utilizzati per il trasporto dei blocchi di marmo, non sono mai stati un problema per questi animali grazie alle loro caratteristiche morfologiche e di rusticità.
Si presentano come animali di piccola statura e caratterizzati da ossatura grossolana, con arti corti e robusti che gli permettono di aderire bene al terreno esercitando così uno sforzo maggiore durante il lavoro. I piedi presentano unghioni grandi, duri e resistenti all’usura.
La muscolatura è ben sviluppata ideale per avere una maggiore potenza di spinta: in particolare il collo, corto e muscoloso, è adatto al traino. Le spalle sono forti e ben attaccate ed un petto robusto e profondo. La pelle è spessa e ben resistente alle contusioni dovute al giogo. Particolarità che hanno reso questi bovini perfetti per il lavoro, sia nelle cave di marmo sia nei campi.
Di contro cosce scarne, pelle spessa ed ossatura robusta influiscono in modo negativo sulla resa in carne. Lo standard di razza prevede un mantello di color rosso fromentino, con occhiaie nere e le corna, a forma di lira, chiare all’attaccatura e scure verso la punta presenti in entrambi i sessi. Circa le origini di questi animali, diversi autori hanno cercato di risalire ai suoi antenati e nella maggior parte dei casi si è giunti alla conclusione che questi animali potessero derivare da razze emiliane, come la Reggiana. Non è irrazionale pensarlo, infatti osservando le caratteristiche della Reggiana si notano affinità tra questi bovini e la Pontremolese.
Oltre a questi dati approssimativi, derivanti da valutazioni morfologiche, di recente sono stati effettuati studi di genetica molecolare che hanno confermato quanto sostenuto su basi storiche e bibliografiche. La realtà di un tempo prevedeva che questi bovini fossero utilizzati principalmente come animali da lavoro, destinati anche alla produzione di carne e latte: nasce dunque come razza a triplice attitudine.
Attualmente nello standard di razza nel Registro Anagrafico, la Pontremolese è categorizzata come animale da carne. Nonostante venga riconosciuto come tale, questi animali non “reggono il confronto” in termini quantitativi con le altre razze da carne Toscane, selezionate per la stessa attitudine produttiva. La minor resa è determinata sia dalla conformazione dell’animale sia dalla naturale inclinazione ad una minore capacità di ritenzione idrica e quindi ad un maggiore scarto post- frollatura.
Dal punto di vista organolettico la carne risulta meno tenera e più scura, caratteristiche imputabili al tipo di allevamento estensivo che comporta un maggiore movimento degli animali e la macellazione tardiva. Tuttavia, se da un lato l’allevamento estensivo determina una carne più matura e meno tenera, dall’altro comporta un gusto più marcato e caratteristiche aromatiche peculiari, ricollegabile alla capacità di questi animali autoctoni di saper “sfruttare” i pascoli e le specie vegetali delle aree marginali locali. Inoltre le carni di animali allevati al pascolo, con alimentazione naturale e ricca di essenze ed eventuale integrazione di foraggio, presentano generalmente una migliore qualità per maggior contenuto di acidi grassi insaturi, vitamina E ed un migliore rapporto di omega-6 e omega-3. Requisiti che il consumatore moderno, sempre più attento alla qualità, ricerca nel prodotto.

Una preziosa risorsa per il territorio

Nel corso degli anni la Pontremolese è stata oggetto di numerosi interventi e progetti. I primi risalgono alla fine dell’Ottocento e riguardano l’avviamento di centri di monta taurina nel territorio borgotarese e successivamente anche nel massese, con l’intento di migliorare la razza tramite la scelta dei soggetti miglioratori. Più avanti sono state promosse mostre zootecniche a premi, per stimolare gli allevatori ad impegnarsi nel mantenimento di questa popolazione a rischio. L’allora Comunità Montana una dozzina di anni fa si è occupata del recupero di un nucleo di bovini Pontremolesi, tenuti allo stato semi-brado in Garfagnana, per distribuirli in due centri pilota: aziende strettamente collegate al progetto e localizzate nel bioterritorio di origine della razza. 

La caciotta di latte di “Pontremolese” prodotta dall’azienda Bongi di Soliera

Attualmente l’unico centro pilota che ancora si occupa della valorizzazione di questi animali è l’Azienda Agricola di Bongi Antonio a Soliera di Fivizzano. Questa realtà valorizza le produzioni dedicandosi alla trasformazione del suo latte, grazie alla presenza del caseificio aziendale. Inoltre si occupa della riproduzione e mantenimento della razza facendo attenzione ad evitare incroci inadatti, mantenendo quanto rimane delle caratteristiche originarie della Pontremolese. Nel nostro territorio la grande biodiversità di razze animali rappresenta un patrimonio ambientale storico e culturale unico che necessita di essere tutelato.
Ma la scarsa redditività e gli eccessivi costi per il suo mantenimento hanno causato una forte selezione verso la scelta di animali più efficienti a svantaggio del germoplasma autoctono. In un sistema come questo, il prodotto di “nicchia” non riesce ad emergere ed inevitabilmente tende a scomparire. 
È necessario, perciò, far leva sulla differenziazione del prodotto e trovare per le etnie locali uno scopo, così che l’imprenditore agricolo sia stimolato a scegliere una razza o una varietà locale, non tanto come unica fonte di reddito, bensì come valore aggiunto all’azienda. Nessun’altra razza potrebbe esplicare al meglio le sue capacità in un contesto territoriale simile. Si possono considerare razze a basso input ambientale e produttivo, ossia non esigenti, in quanto riescono a valorizzare ed adattarsi a ciò che trovano nell’ambiente in cui si sono evolute. Questa capacità permette anche di dare al prodotto una qualità unica nel suo genere derivante dallo stretto legame col territorio. 

Francesca Gabrielli

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