Continua lo stillicidio di notizie sui naufragi nel Mediterraneo. Tra il 2014 e il 2019 sono stati stimati in 15.000 i morti
“Vi confesso che sono molto addolorato per la tragedia che ancora una volta si è consumata nei giorni scorsi nel Mediterraneo: 130 migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto: un aiuto che non è arrivato. Fratelli e sorelle, interroghiamoci tutti su questa ennesima tragedia. È il momento della vergogna! Preghiamo per questi fratelli e sorelle e per tanti che continuano a morire in questi drammatici viaggi. Anche preghiamo per coloro che possono aiutare, ma preferiscono guardare da un’altra parte”.
Sono le parole del Papa al Regina Coeli di domenica scorsa. La tragedia che ancora una volta si è consumata nel Mediterraneo ha contorni assurdi. Era l’8 luglio 2013 quando Francesco aveva compiuto il suo primo viaggio a Lampedusa. Allora aveva gridato contro la “globalizzazione dell’indifferenza” e sembrava che quella denuncia accorata fosse arrivata alle coscienze dei cittadini e di coloro che in qualche modo possono dare soluzioni al problema enorme delle migrazioni.
Quante volte si è sentito gridare: “Mai più!”. Invece, sembra che ci sia sempre un peggio non previsto. O meglio, previsto ma non tenuto in considerazione. Se oggi il Papa grida alla vergogna è perché, se si vuol essere umani, ci sono tutti i motivi per cui vergognarsi. La settimana scorsa sono morte in mare circa 130 persone partite su un gommone dalla Libia. È successo tante altre volte. In questa occasione, però, in troppi hanno guardato da un’altra parte.
Secondo le organizzazioni dei diritti dei migranti, erano almeno 24 ore che dall’imbarcazione in difficoltà partivano richieste di aiuto. Soltanto Ocean Viking, cui si sono aggiunti poi tre mercantili, ha risposto all’appello: “Abbiamo allertato i centri di soccorso nazionali di Italia, Malta e Libia come previsto dal diritto internazionale”. Nessuno per molte ore ha risposto. Dalla Libia ad un certo punto c’è stata la scusa che “le condizioni meteorologiche sono pessime”. Malgrado fosse chiaro che la Libia non avrebbe mosso un dito, non c’è stato riscontro neppure da parte di Italia e Malta. Si rimpallano le responsabilità come sempre. E non mancano le polemiche neppure dalle nostre parti.
Le leggi del mare – e il buonsenso – direbbero che un naufrago va salvato e va portato in un porto sicuro. I trattati con la Libia non sono dei più trasparenti e pensare di affidare alla guardia costiera libica il rimpatrio dei superstiti è come mandarli all’inferno. Si diventa anche complici delle nefandezze, documentate, che nei campi libici si consumano. Perfino il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa dichiara: “Gli Stati europei devono smetterla di abdicare alle responsabilità per i rifugiati e i migranti nel Mediterraneo: devono impiegare mezzi di soccorso, rispondere alle richieste di soccorso, espandere rotte sicure e legali e smettere di facilitare i rimpatri in Libia”.
Sono parole che suonano bene agli orecchi di noi italiani. Purtroppo, finora le risposte europee alle richieste italiane sono andate deluse e da molto tempo l’Europa “guarda da un’altra parte”, lasciando il pesante incarico di farsi prossimo ai tanti disperati alla sola, o quasi, Italia. I numeri arrivano da Amnesty International e non sono definitivi in quanto da qualche tempo, in mancanza delle navi delle organizzazioni non governative (Ong), non ci sono più testimoni.
Comunque, i dati accertati sono: 15.000 morti tra il 2014 e il 2019; 2.747 le persone riportate in Libia nel 2019; il rapporto tra partenze e persone morte in mare nel 2018 era una ogni 28, quest’anno una ogni 6. In compenso, sono diminuite del 5% le persone a cui gli Stati Ue hanno concesso asilo nel 2020. In tutto sono 281.000 così ripartite: 98.000 Germania, 51.200 Spagna, 35.800 Grecia, 29.400 Francia, 21.300 Italia, seguono altri Paesi con numeri inferiori. C’è da pensare che, con l’arrivo della bella stagione, i tentativi di violare l’embargo da parte dei migranti riprenderà vigore. C’è da sperare che lo scaricabarile che anche in questa occasione si sta consumando tra Europa, Italia, Malta e Libia porti almeno a qualche riflessione sul problema. Non si tratta soltanto di arginare. Lasciare la gente in Libia o in Turchia non è il massimo delle aspettative. Vanno promosse politiche di intervento.
“Aiutiamoli a casa loro” può essere una bella frase ad effetto. Per il momento, ci pensano le multinazionali e i governi interessati alle ricchezze di quei Paesi. Il Covid sta mettendo in evidenza la drammaticità delle condizioni di vita dei Paesi africani e non solo. Non hanno neppure la possibilità di accedere alle medicine di base, figuriamoci se possono permettersi i vaccini. Spesso non hanno neppure di che mangiare.
Dalle Ong non ci sono soltanto denunce, ci sono anche proposte tra l’altro già messe in atto dalla Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con la Cei e con le Chiese evangeliche. In un comunicato, la Comunità invita a “rispondere al più presto alla domanda di aiuto proveniente dai migranti in transito verso l’Europa, in particolare quelli attualmente in Libia, con progetti che puntino a svuotare i luoghi di detenzione, a esaminare le situazioni delle singole persone e a consentire vie di salvezza legali come i corridoi umanitari”.
Intanto le Ong hanno chiesto un incontro a Draghi per “discutere quali iniziative concrete possano essere assunte dal governo e dall’Europa affinché salvare vite umane ritorni ad essere una priorità”.
Giovanni Barbieri