Far esplodere l’ amore

Domenica 7 marzo – III di Quaresima
(Es 20,1-17; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25)

Con la forza di un parto Gesù spinge fuori quell’umanità impaurita dal tempio, la spinge nel mondo. Con la forza di un bambino che impara a camminare Gesù tenta, nel Vangelo di oggi, di invertire la rotta: non un mercato nel luogo sacro ma un Sacro che esce a fecondare anche il luogo del mercato. Un Santo che respira dentro le cose del mondo. Un tempio fonte inesauribile di Speranza per il villaggio. Rimangano i sacerdoti nel tempio, a garantire accoglienza e servire l’acqua dal Pozzo divino ma poi l’acqua esca, che inondi il quotidiano. Non è gradita questa inversione di tendenza. Non dai sacerdoti che preferiscono essere l’approdo finale di un cammino, non dai fedeli che preferiscono relegare in luogo protetto il loro rapporto con Dio, per tutti avere spazi e tempi ben definiti è fonte di tranquillità. Ma l’amore come la fede non può mai essere tranquillo. Scacciare fuori il divino dalle mura della chiesa diventa pericoloso.
Travolgente. Chiede tutto. Non basta il sacrificio di un animale, chiede il sacrificio dell’intera vita. Un segno. Ma come sempre i segni difficilmente declinano comprensione al presente. Forse si comprendono dopo. Dopo un Vangelo intero. Dopo che i segni profetici troveranno casa nella carne del profeta. La profezia ha un costo altissimo, vuole tutto. E solo quando la frusta sanguinerà carne dalla schiena del Maestro e trenta denari si prenderanno il respiro di Giuda e il Tempio rimarrà solo ombra alle spalle di un Messia espulso dalla storia… solo allora qualcuno ricorderà. E nel ricordo comprenderà, mai del tutto, mai fino in fondo, ma comprenderà che luogo dell’incontro con Dio è il Tempio della nostra storia. Della carne. Delle scelte.
Che il tempio di pietra rimanga indispensabile porto a cui attraccare le miserie e sciogliere i nodi alla speranza ma la fede, quella vera, vuole il mare aperto della vita. Vuole traiettorie da inventare tra le onde dell’amore e dell’amicizia, nel lavoro e nella politica, nel mercato e nel volontariato…scacciati fuori dal tempio, soffiati via, per impollinare di vita buona il mondo. E l’unico modo è che noi diventiamo la nave, che la nostra carne si lasci incidere dal Verbo della Speranza, che la nostra storia divenga l’unico sacrificio, nessuna vittima animale solo la libera scelta di immolarsi gioiosamente per l’Amore. Sacrificio d’amore per il mondo. Sembrava un Vangelo lontano, sembrava solo una critica a certe modalità di fede che si illudono di comprare il divino… in verità è una potentissima riflessione sul senso della fede nella storia. Corpo di Cristo. Umiliato, venduto, estromesso. Corpo di Cristo non più il pane ricevuto dopo aver comprato un’illusione di purezza ma la manna indispensabile per provare ancora ad intraprendere evangelicamente le strade del mondo portandomi addosso anche il mio peccato.

don Alessandro Deho’