C’è ancora discussione sui provvedimenti per le festività
In altre pagine del giornale viene ribadita la validità del messaggio di pace, di gioia e di speranza diffuso dal Natale: un punto fermo per i credenti. Qui, però, dobbiamo cercare di fare i conti con il momento che stiamo vivendo e con le implicanze sanitarie, sociali e politiche che lo stesso determina.
Il Natale, in tal caso, perde il suo alone di santità per divenire, molto più prosaicamente, “periodo di festività natalizie”, cioè momento di festa ormai slegato o comunque con un legame molto affievolito nei confronti dell’aspetto religioso; occasione per far festa con parenti ed amici, scambiare regali e fare acquisti favoriti dalla riscossione delle tredicesime.
L’ordine assegnato alle implicanze di cui sopra non è casuale – pur essendo variabile a piacere -, ma determinato dall’importanza che quegli ambiti rivestono nella vita delle persone. La salute, quindi, davanti a tutto il resto: “Basta la salute…”. Nel suo nome, il 4 dicembre era stato emanato l’ennesimo Dpcm che dettava in modo dettagliato le disposizioni che avrebbero scandito il periodo che va dal 21 dicembre al 6 gennaio.
A soli 10 giorni di distanza quei precetti sono stati in procinto di cambiare almeno due volte: una verso l’allentamento, l’altra (ultima in ordine di tempo e più probabile) in senso restrittivo. Una ulteriore conferma del fatto che la pandemia sta sconvolgendo ogni tempistica.
Nel nome della salute – alzi la mano chi ha il coraggio di dire il contrario – ci dobbiamo quindi preparare ad un nuovo lockdown, sia pure limitato nel tempo, e a giorni nei quali l’orizzonte di mobilità sarà alquanto ristretto. Se questo è già pesante dal punto di vista degli affetti e dello sconvolgimento dei comportamenti individuali e generali, ancora più grave può essere il peso imposto dal punto di vista sociale ed economico. Chiusure ed aperture a singhiozzo non fanno certo bene all’economia.
I primi a risentirne sono i commercianti al dettaglio, ma anche i grandi centri commerciali, per non parlare di bar e ristoranti. Comunque, in genere, chi fa affidamento sui consumi. Quando si tocca questo argomento è inevitabile parlare di “ristori”, cioè degli aiuti che ogni Stato, l’Italia con qualche fatica in più a seconda delle categorie, è obbligato ad accreditare alle imprese per evitare che le stesse vadano verso una estinzione generalizzata.
Notizie di decreti che stabiliscono l’erogazione di contributi (molti a fondo perduto) se ne sono sentite a più riprese, ora è tempo che la macchina statale venga registrata a dovere perché gli stessi giungano tutti e al più presto a destinazione.
Sbloccato il Recovery fund
Un discorso a parte è rappresentato dal Next Generation Eu (comunemente rinominato Recovery fund), con il quale l’Unione europea affianca gli Stati membri e li sostiene nella risposta alle conseguenze negative – economiche, occupazionali e sociali – dovute alla pandemia.
Dopo il rallentamento causato da Austria, Polonia e Ungheria, è fresca la notizia, seguita al Consiglio europeo di questo inizio di settimana, che “i soldi arriveranno”; per l’Italia, ha affermato il commissario europeo Gentiloni, la prima fetta è prevista tra la primavera e l’estate.
Ma qui non si parla più di “assistenza”: quei soldi, veramente tanti, dovranno essere spesi per investimenti strutturali capaci di ridisegnare il modello di produttività in tutti gli Stati dell’Unione. Un compito non facile per l’Italia perché – non si tratta di essere disfattisti ma realisti – i settori in cui si dovrebbe intervenire (burocrazia, giustizia, digitale, ambiente…) sono agli onori del dibattito politico da decenni senza che si siano realizzati passi in avanti significativi.
Siamo, così alla terza implicanza indicata, quella politica. L’avvicinarsi della scadenza dei tempi per la definizione dei progetti da presentare all’Europa per sbloccare i fondi legati al Next Generation Eu, ha reso torrido un ambiente che temperato non è mai stato, fin dall’avvio del governo. Complice anche Conte, preso dalla frenesia dei provvedimenti ad excludendum, in queste ultime settimane più volte si è rischiata la crisi di governo, soprattutto per mano di Renzi. Ancora lui ha rimandato la consultazione sul governo già fissata in coda agli incontri che Conte ha tenuto con gli altri soggetti della maggioranza.
Nessuno, in realtà, crede alla possibilità che il Paese sia lasciato senza esecutivo in una situazione come questa, ma il pensiero che anche un solo minuto sia perso dalla politica per dipanare le sue beghe e sottratto alla ricerca di soluzioni ai tanti problemi emergenti basta e avanza per far dare un giudizio poco lusinghiero su chi così si comporta. In tutto ciò “un fantasma si aggira per l’Europa” e questa volta non in senso negativo ma di attesa: se il vaccino realizzerà le aspettative auspicate nella lotta contro l’epidemia, il ritorno alla normalità, più o meno diversa dal “prima”, potrà avvenire in modo più rilassato.
Antonio Ricci