
Un’importante giornata di studi sulla presenza del poeta nella Toscana occidentale
Martedì 6 ottobre, nella sala consiliare del comune di Sarzana, si è svolta la sessione lunigianese del convegno Dante nella Toscana Occidentale: tra Lucca e Sarzana (1306-1308), importante giornata di studi promossa dall’Università di Pisa, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, con il patrocino di Società Dantesca Italiana, organizzata con l’Associazione degli Italianisti (Adi) – Gruppo Dante e coordinata dal critico letterario prof. Alberto Casadei.
A Sarzana i lavori sono stati condotti dal prof. Paolo Pontari, sempre dell’ateneo pisano, membro del comitato scientifico e consulente dell’associazione Dant&Noi che conserva nel sito internet omonimo le registrazioni delle due giornate permettendo la consultazione delle relazioni. Era presente anche il professor Marcello Ciccuto della Società Dantesca Italiana.

Alla riflessione dei partecipanti e di quelli che si sono collegati in streaming, le relazioni hanno suggerito numerosi spunti come quelli offerti da Carlo Raggi della Società Dante Alighieri della Spezia nella sua relazione Giosuè Carducci in Lunigiana fra empito sentimentale, ricerca storica e filologia dantesca (1887-1890). Ha raccontato come il poeta, a Fivizzano per studiare le rime di Labindo, ebbe modo di vedere le tavole dantesche della Pace di Castelnuovo in occasione di un viaggio alla Spezia per visitare l’Esposizione circondariale che si tenne in quell’anno nella città.
Mi soffermerò tuttavia su alcuni aspetti riguardanti la Lunigiana del tempo di Dante. Sarzana era ancora un complesso urbano in espansione. Destinata già dalla fine del secolo XII ad accogliere la nuova cattedrale con il Capitolo dei canonici dell’antica città di Luni, era stata oggetto di interventi di pianificazione tesi a rendere più razionale lo spazio urbano; un processo di trasformazione in “città” che aveva bisogno di tempo. Infatti, sebbene il popoloso borgo fosse già il centro principale della bassa Val di Magra, e per questo scelto per il trasferimento della sede diocesana, soltanto nel 1465 ne divenne effettivamente il centro. All’inizio del Trecento la situazione urbanistica dell’antico borgo può essere ricondotta ad una sorta d’interpolazione tra la descrizione dei quartieri contenuta negli Statuti del 1269 e quelli del 1330; mentre nei primi si leggono ancora le antiche circoscrizioni della Calcandola, del Borgo e della Clausura, i secondi portano i nomi delle chiese cittadine di Santa Maria, Sant’Andrea, San Francesco e San Domenico, queste ultime appena costruite fuori delle mura. Piazza della Calcandola, era un ampio spazio attraversato dalla via Romea con il lato nord orientale sghembo utilizzato dai tempi del Barbarossa come piazza del mercato.
Qui il 6 ottobre 1306 Dante Alighieri rappresentante di Franceschino di Mulazzo e dei suoi fratelli Moroello di Giovagallo e Corradino di Villafranca, ottenne la procura per trattare la pace con il vescovo Antonio Nuvolone, della famiglia genovese dei Da Camilla. Convennero in quel luogo, anche frate Guglielmo Malaspina, dell’Ordine dei Minori, figura di spicco della casata, il soldato di Lucca Bartolomeo Taneregia, forse in rappresentanza del podestà anch’esso lucchese, ed il figlio del notaio Parente di Stupio di Sarzana, giudice Tomasino.
La relazione di Paolo Pontari e Matteo Cambi su Dante, i Malaspina e le terre della diocesi lunense: la delegazione lucchese alla Pace di Sarzana e Castelnuovo del 1306 analizzando questa presenza dalla pace di Castelnuovo ha messo in luce, l’ingerenza della città di Lucca nelle vicende di Lunigiana e quindi di Sarzana, in un momento di ascesa dei Malaspina ed, in particolare, dei consorti dello Spino Secco al quale appartenevano i tre fratelli sopra citati. Essi furono molto ospitali con Dante che parla di loro nel suo poema riferendosi a Moroello, signore del feudo di Giovagallo e consorte di Alagia Fieschi, nobile genovese. Se Lucca, come poi Firenze, premeva sulla parte orientale della Lunigiana appoggiando la politica destabilizzante dei Malaspina nei confronti del vescovo, dall’altra Genova si contrapponeva per estendere la sua influenza territoriale.
L’imponente rocca di Giovagallo dominava uno di quei percorsi trasversali, oggi assai poco frequentati, che univano le terre rivierasche con la regione Lunense passando da Terrarossa ed Aulla, non è senz’altro casuale che la moglie del marchese Moroello fosse genovese e che lui stesso sia stato sepolto nella chiesa di San Francesco di Genova. Oggi la rocca è sepolta tra le boscaglie, ridotta a rudere, dimenticata anche dai vincoli paesistici ed architettonici dello Stato, nonostante la sua importanza storica e letteraria.
Il ruolo di questa importante costruzione è emerso nella relazione affidata a Eliana M. Vecchi e Nicola Gallo, Le due corti malaspiniane di Giovagallo e Mulazzo. Alcune considerazioni. Dai primi sommari rilievi doveva trattarsi di una struttura imponente con una torre ampia quanto quella residenziale della Verrucola di Fivizzano, una delle poche, se non l’unica, a conservare ancora i caratteri dell’epoca di costruzione. Mi auguro che l’appello alla tutela del celebre monumento, accolto favorevolmente dai partecipanti al convegno, trovi un riscontro e si possa procedere per un recupero dei ruderi rimasti, diffondendone la conoscenza nell’ambito delle celebrazioni dantesche del prossimo 2021.
Roberto Ghelfi