
Domenica 26 aprile – III di Pasqua
(At 2,14.22-33; 1Pt 1,17-21; Lc 24,13-35)
Non stanno nemmeno fuggendo, in loro non il dramma di chi scappa, non l’urgenza di chi si sente tradito, non la traiettoria drammatica di chi sta andando a morire: i due di Emmaus semplicemente stanno camminando fuori dal cuore degli eventi. Perché è andata così. E non è la prima e non sarà l’ultima volta: ti fidi della vita e lei ti delude e allora torni al tempo di prima.
Il cammino dei due discepoli di Emmaus ha l’aria di essere un allontanamento, triste ma non drammatico. Undici chilometri per lasciarsi dietro l’errore, discutere animatamente di quello che è successo è forse un modo per prendere definitivamente le distanze da quel pezzo di vita che, negli ultimi mesi, aveva assunto il sapore profetico del Nazareno. Poi Gesù si avvicina, loro non lo riconoscono però lui è al loro fianco. E io non so bene cosa voglia dire e non voglio nemmeno sapere il “perché” non l’abbiano riconosciuto subito, mi pare che quello che conta davvero è che lui c’è, anche se non lo riconoscono Lui “è”, anche se il cammino che i due stanno compiendo è un cammino stanco e lontano dai canoni della fede.
Il Risorto cammina anche le vie stanche di discepoli increduli. E mi commuove. E non mi importa più di sapere come hanno fatto i due a non riconoscere Gesù, quello che mi commuove nel profondo è come abbia fatto Gesù a riconoscere loro!
Come abbia fatto a decidere di stare accanto all’uomo in fuga dalla verità. E penso a tutti i cammini pastorali che inventiamo, alle condizioni che poniamo, all’intellettualismo con cui speriamo di avvicinare al Signore della verità… penso a tutto questo, leggo il Vangelo, e mi vien da pensare che l’unico obiettivo serio che dovremmo avere è quello di aiutare gli uomini a riconoscerlo già presente. Anche e soprattutto in quei cammini non istituzionali, non verificati, non perfetti, non catechistici. Riconoscerlo già presente dentro ogni piega della vita.
Atto di riconoscimento, che significa aprire gli occhi e comprendere che ogni piega della vita, qualsiasi istante, anche il cammino più lontano dal sacro, può diventare epifania dell’Incontro, svelamento. Il Risorto cammina accanto a noi, sempre. don Alessandro Deho’