Dal Terzo Settore un contributo fondamentale per la ricostruzione del tessuto sociale
In una intervista alla rivista spagnola “Vida Nueva” Papa Francesco sottolineava che “una emergenza come Covid-19 è sconfitta prima di tutto dagli anticorpi della solidarietà… non possiamo permetterci di scrivere la storia presente e futura con le spalle rivolte alle sofferenze altrui”. Non sono parole dette per dire.
Se la relatrice delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili, Catalina Devandas, dichiara che “le persone con disabilità devono avere la garanzia che la loro sopravvivenza sia considerata una priorità” e che gli Stati devono emanare “protocolli per le emergenze di salute pubblica al fine di garantire che, quando le risorse mediche sono limitate, le persone con disabilità non siano discriminate nell’accesso alla salute” qualcosa di strano evidentemente, nel mondo sta succedendo.
Anche la nota “Pandemia e fraternità universale” della Pontificia Accademia per la Vita riconosce che “le condizioni di emergenza in cui molti Paesi si stanno trovando possono arrivare a costringere i medici a decisioni drammatiche e laceranti di razionamento delle risorse limitate”, precisando che “la decisione non può basarsi su una differenza di valore della vita umana e della dignità di ogni persona che sono sempre uguali e inestimabili”.
Sull’argomento ci sono notizie a dir poco allarmanti. Alcuni Stati degli USA hanno scelto “strani” modi per affrontare la pandemia, con alcune categorie di persone affette da diverse patologie – in vari casi anche gli anziani non autosufficienti – che non vengono ammesse alle cure anti-coronavirus. Ma gli Stati Uniti sono in buona compagnia, se è vero che anche in Francia e in altri Paesi europei sono stati indicati modi diversi di trattamento dei pazienti in base all’età e allo stato di salute generale, catalogando i diversi tipi di decessi prevedibili a partire dalle “morti inevitabili” per giungere a quelle “inaccettabili”. Per non parlare della “immunità di gregge” prospettata dal Boris Johnson della prima ora!
Venendo a noi, se vogliamo scrivere una storia presente e futura “senza voltare le spalle alle sofferenze altrui” non possiamo trascurare il fronte che riguarda gli immigrati. Se oggi possiamo andare al supermercato per approvvigionarci di viveri, in gran parte lo dobbiamo agli “invisibili”. Sono tanti, ma non sono troppi. Anche perché già sono presenti da anni sul nostro territorio, condannati alla clandestinità e all’emarginazione. Da alcuni sono considerati zavorra, gente che non ha diritto di cittadinanza.
È l’altra faccia, brutta, del nostro Paese. Non hanno diritti ma devono lavorare, non si sa quante ore al giorno, con quali paghe, in quali condizioni di vita. 350.000 di essi svolgono lavori di bracciantato nella raccolta di prodotti ortofrutticoli e di agrumi; 200.000 sono le donne che svolgono lavori domestici in qualità di badanti, colf e babysitter. Spesso si tratta di lavoro nero. Il coronavirus ha fatto emergere l’importanza di queste persone “clandestine” che permettono a tutta la filiera alimentare di poter far fronte all’emergenza. Sono “eroi” sconosciuti e ignorati.
Varie associazioni quali le Acli e l’Arci, insieme a qualche politico, anche in forza del servizio sociale espresso da queste categorie di persone, pensano che sia giunto il momento di regolarizzarle. Sono già presenti sul territorio nazionale e stanno dimostrando di essere “utili”, quasi indispensabili per la nostra economia. In questa ottica si muove anche l’appello al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al presidente della task-force governativa, Vittorio Colao, e al presidente dell’Anci, Antonio De Caro, da parte del Terzo Settore, quello del volontariato, in rappresentanza della società civile.
Oggi più che mai si scopre l’importanza di questo settore nell’affrontare l’emergenza coronavirus in tutti gli ambiti: da quello ospedaliero a quello del lavoro, a quello delle povertà emergenti. L’invito è al rilancio di una economia a misura d’uomo per togliere manovalanza alla malavita organizzata e per evitare che si vada a cadere nell’usura e quindi nelle mani della camorra, che è in agguato per porsi in alternativa allo Stato. Il Terzo Settore è quello che meglio conosce le necessità e le povertà.
Da sempre è accanto alle fragilità. Per questo i firmatari (sono almeno trenta le associazioni no profit che hanno sottoscritto l’appello) chiedono di essere coinvolti nella progettazione per la rinascita dei tessuti sociali stravolti. “La crisi si annuncia tale che non basterà la semplice distribuzione dei beni materiali, occorrerà parlare di riconversione e ricostruzione delle nostre economie globali e locali”. E in questa ricostruzione non si possono lasciare indietro “scarti”, siano essi anziani, disabili o immigrati.
g.b.