
Al Quartieri di Bagnone è andato in scena il “Platonov” di Cechov
Anton Pavlovic Cechov (1860-1904) è stato uno scrittore e drammaturgo russo, padre del teatro moderno russo. Le sue opere, attente ai risvolti psicologici dei personaggi, sono capaci, a distanza di tempo, di creare un’atmosfera di drammatica sospensione. Capace di denunciare, con semplicità, la crisi della società del suo tempo, fatta di non detti, di desideri inesauditi, di un passato cristallizzato e di un presente insufficiente a soddisfare gli animi, il suo teatro assomiglia a un tipo di pittura in cui le pennellate, viste da lontano, formano un quadro chiaro e indiscutibile.
Tra le opere migliori “Platonov”, andata in scena al “Quartieri” martedì 21 gennaio, alle 10 del mattino per gli studenti e alle 21 per abbonati e non. Un testo giovanile ritrovato dalla sorella Maria, che spalanca una finestra su un Cechov quasi sconosciuto.
Un’opera incompiuta scritta a ventun anni, ricca di personaggi, pubblicata postuma e priva di titolo. Quello attuale lo scelsero i critici. “Platonov” è un po’ il fallimento dell’utopia dell’autore che compendia, però, tutti gli elementi che accompagneranno la sua maturità, compresi l’energia, la voglia di comunicare ed il grande desiderio di provare a raccontare la vita com’è esattamente. Ma la vita, ha le sue strade, le sue leggi, i suoi percorsi… per cui è irrappresentabile. Una vita alla ricerca di una felicità evanescente, inafferrabile che è altrove, come dice il sottotitolo dello spettacolo.
L’azione si svolge nella tenuta di Anna Petrovna, giovane bella vedova di un generale, caduta in disgrazia. Tra fiumi di vodka, trascorrono una serata una serie di personaggi fra cui spiccano il maestro elementare Platonov, conteso fra la moglie Sasha, la giovanissima Sofja e la padrona di casa. Della combriccola fanno parte Sergej, figliastro di Anna, il ricco Porfirj con il figlio Klrill.
Un intreccio di vissuti sopra le righe, quasi un affresco incompiuto dell’animo umano. Scene, dialoghi, esistenze di uomini e donne resi ancor più fragili dal loro “voler essere” che cozzano inevitabilmente con la vita reale. Insomma in “Platonov” c’è qualcosa di tutti noi con le nostre aspirazioni, progetti, sogni, che ci spingono a cercare la felicità “altrove” rispetto a dove siamo senza tener conto che le sconfitte e le delusioni sono dietro l’angolo.
Spetta a ciascuno di noi vivere l’esistenza come dono, corredato di umiltà, tenacia e pudore. Un dono che, ai toni accesi, preferisce gli accenti smorzati ed il silenzio che ci permette di riflettere seriamente. Bravissimi tutti gli attori, guidati dalla competenza del regista Marco Lorenzi: essenziale la scenografia e accattivanti le musiche. Molti gli applausi ripetuti perché il pubblico si è sentito parte della storia recitata nel fluire della vita con le sue gioie, i suoi dolori; le salite, le soddisfazioni… E le emozioni che fan tumultuare il cuore. Nel bene e nel male. (i.f.)