Sempre più allarmanti i dati dei rapporti pubblicati da Istat, Svimez e Migrantes
I dati forniti nel luglio scorso da Istat riferiti al 2018 non erano confortanti. Se dal 2014 al 2018 non ci fosse stato l’ingresso di cittadini stranieri, l’ Italia avrebbe avuto un calo demografico di oltre 1.300.000 unità. Il deserto demografico sta avanzando e sembra non vi sia possibilità di invertire la marcia. Il saldo tra nati e morti nel 2018, rispetto al 2017 è stato di 193.000 unità.
Questo significa che non vi è più scambio generazionale. La media di denatalità a livello nazionale è del -3,2 per mille abitanti. L’unica provincia che va controcorrente è quella di Bolzano con un +1,7 per mille. La capofila del triste primato della denatalità è la Liguria con -8,5, ma anche Toscana, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia e Molise vanno oltre il 5 per mille.
È un fenomeno preoccupante che dovrebbe far riflettere sulle politiche per la famiglia. Ma a preoccupare non è solo l’andamento demografico, che forse trova qualche giustificazione in un quadro non del tutto rassicurante: ne sa qualcosa chi tenta di trovare un lavoro.
Quasi contemporaneamente sono stati pubblicati il rapporto Svimez sul lavoro e il rapporto della Fondazione Migrantes sugli “italiani nel mondo”. Secondo il primo, il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord torna a crescere: negli ultimi dieci anni è aumentato dal 19,6% al 21,6%. Per annullarlo occorrerebbero tre milioni di posti di lavoro. La crescita di occupazione nel primo semestre di quest’anno (che però ha rallentato da luglio in poi) riguarda solo il Centro-Nord con un aumento di 137.000 posti di lavoro.
Nel Mezzogiorno il calo è stato di 27.000 unità. Il governo ha in progetto un Piano per il Sud con l’intento di investire nelle infrastrutture sociali, ambientali e viarie, come pure stanziando milioni per dare ossigeno ai piccoli comuni per sostenerli in asili, scuole e presidi sanitari, cercando nel contempo di riattivare i finanziamenti pubblici per il Mezzogiorno.
Si rende necessario un riequilibrio territoriale della spesa per gli investimenti: “Al Sud risiede il 34% della popolazione, ma le quote destinate agli investimenti di quelle regioni si attestano sotto il 30%.”. Sarà utile chiedere grande trasparenza nella progettazione e attuazione da parte delle amministrazioni locali. Accanto al gap occupazionale c’è l’andamento demografico, secondo cui “il contributo garantito dalle donne straniere non è più sufficiente a compensare la bassa propensione delle donne italiane a fare figli”.
Il rapporto sottolinea anche che dall’inizio del nuovo secolo hanno lasciato il Mezzogiorno 2 milioni e 15 mila residenti, la metà giovani sotto i 34 anni e di questi quasi un quinto laureati. In proposito è più dettagliato il rapporto della Fondazione Migrantes. Nel 2018 hanno registrato la loro residenza all’estero 128.583 italiani, 400 in più rispetto al 2017. Non sono aumentati, di fatto, rispetto all’anno precedente, ma ciò che preoccupa è che il fenomeno è diventato strutturale: da quattro anni superano i 100 mila, e da due i 128.000. E se si allarga lo sguardo dal 2006 al 2019 si vede che la mobilità italiana è aumentata del 70.2%.
Negli ultimi 13 anni la popolazione italiana all’estero è passata da poco più di 3,1 milioni a 5,3 milioni. Nel gennaio 2019 sono 5.288.281 i cittadini italiani residenti all’estero, l’8,8% della popolazione. Quasi la metà (48,9%) è originaria del Meridione, anche se nell’ultimo anno è soprattutto il Nord ad aver perduto cittadini.
Le aree continentali maggiormente interessate sono l’Unione Europea e l’America Centro-Meridionale. Le ragioni che spingono tanti giovani a lasciare l’ Italia si trovano soprattutto nell’esigenza di trovare un’occupazione o un lavoro all’altezza delle loro aspettative.
Tanti giovani con un elevato livello d’istruzione non trovano lavoro o trovano soltanto “lavoretti”. In Italia, anche con titolo di studio elevato si rischia di essere inquadrati in qualifiche inferiori e si accetta anche di perdere qualche diritto pur di mantenere il proprio lavoro. All’estero è più facile trovare lavoro ma c’è anche la possibilità di carriera e, soprattutto, il lavoro è meno ricattabile.
Milano e Roma sono le città metropolitane che hanno pagato il prezzo maggiore ma il fenomeno ha avuto un impatto devastante nei piccoli comuni e non risparmia nessuno: si va dall’entroterra ligure, alle valli alpine, lungo l’Appennino, negli ultimi anni ferito anche dai terremoti, giù fino alla Calabria e alle Isole.
A volte i numeri sono incredibili. Da Castelnuovo di Conza, in provincia di Salerno, negli anni è emigrato il 480% della popolazione attuale (2.860 emigrati contro 595 residenti), a Carrega Ligure (provincia di Alessandria) il 348%, ad Acquaviva Platani (Caltanisseta) il 264%!
Per l’ Italia dunque il panorama non è rassicurante e proprio per questo si spera che vi si ponga mano. Nel Piano per il Sud il governo ha indicato 5 direzioni: la lotta alla povertà educativa e minorile; le infrastrutture sociali; rafforzare al Sud il modello degli investimenti green; puntare sullo sviluppo tecnologico e guardare al Mediterraneo come a un mare di opportunità. Si spera che non siano solo buone intenzioni. La povertà del Sud non fa bene all’Italia.
(G. B.)