Ci sazieremo, Signore Gesù, contemplando il tuo volto

Domenica 10 novembre. XXXII del Tempo ordinario
2Mac 7,1-2.9-14;  2Ts 2,16-3,5; Lc 20,27-38)

41vangeloGesù è entrato a Gerusalemme, acclamato come Messia. Alcuni Sadducei, i membri della nobiltà sacerdotale, “i quali dicono che non c’è risurrezione…”, gli si avvicinano, cercando di metterlo in difficoltà. L’idea di resurrezione non era accolta da tutti gli ebrei. I Farisei e gli Scribi, pur piegando la Parola al proprio tornaconto, non la negavano.
I Sadducei, più radicalmente, si opponevano all’idea, avevano rimosso dalla Scrittura interi libri, e avevano profondamente modificato il deposito della fede. Ciò che ritenevano opportuno e conveniente lo accettavano, adattandolo ai loro ragionamenti, tutto il resto lo rigettavano.
Per sfidare Gesù, gli propongono una loro storia, quasi una anti-parabola: “C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie”.
Fanno riferimento alla legge del levirato. Secondo il Deuteronomio, quando un uomo muore senza aver lasciato discendenza, la vedova deve sposarne il fratello, in modo da dargli un figlio. La domanda è retorica, vuole ridicolizzare la posizione dei credenti nella resurrezione.
L’eternità sarebbe la continuazione della vita terrena, secondo le stesse leggi, in un altro mondo. Non sono interessati a conoscere in cosa consistono le argomentazioni del proprio ‘avversario’. Presentano il loro apologo a Gesù per costruire una caricatura della risurrezione, ma, così facendo, rivelano la propria aridità e supponenza.
Gesù, come spesso fa, non resta sullo stesso piano, ma li spiazza, con una affermazione che spalanca un mondo nuovo: quelli che risorgono non prendono né moglie né marito. Non è la procreazione che garantisce la vita eterna, ma la potenza di Dio: gli uomini saranno finalmente in piena comunione con Lui nel Regno. Non finiranno gli affetti, e neppure le gioie.
Al contrario, l’unica cosa destinata a durare per sempre, è l’amore. I risorti continueranno a vivere la gioia, umanissima e immortale, di dare e ricevere amore. Su questo si fonda la felicità di questa e di ogni vita. Senza risurrezione non c’è redenzione.
Gesù riporta il discorso su una verità antropologica essenziale: non è importante di chi saremo marito o moglie nella risurrezione, ma che ognuno di noi è figlio di Dio e, per questo, chiamato a partecipare alla sua vita immortale. L’uomo è unità di corpo e anima per l’eternità. Ciò che vince la morte non è la vita, è l’amore.
Poi il Maestro si sposta sul piano dottrinale, e fa una citazione della teofania nel roveto ardente: “Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui”. Il nostro Signore non è il Dio dei morti, ma dei vivi per l’eternità, infinita scoperta di cosa significa amare con il cuore stesso di Dio.

Pierantonio e Davide Furfori