Durerà questo governo? E quanto durerà? Sono le domande che tutti si pongono in questi giorni. Ma, mentre scriviamo, la domanda più giusta sarebbe: “Il governo Conte-bis avrà l’approvazione del Senato?”. Perché, al di là di ogni altra considerazione, i numeri dell’alleanza giallo-rossa nella “Camera alta” sono veramente risicati e tanti sono i motivi per cui anche solo una manciata di voti potrebbe venir meno da un giorno all’altro, orientando così in senso negativo le risposte alle domande sopra esposte.
Ma della cronaca politica di questi giorni parliamo in altra pagina del settimanale. Qui ci preme sottolineare alcuni degli aspetti dibattuti nel corso di questa crisi, dando per scontato il voto positivo dei senatori.
Fatta salva la diversità dei tempi di contrattazione, questo governo nasce con lo stesso avallo costituzionale del precedente: in un sistema parlamentare è, appunto, in Parlamento che devono nascere e cadere i governi. Non esistono scorciatoie, quelle sì contro il dettato della legge costitutiva della nostra Repubblica, che permettano di evitare il confronto in aula. Ne consegue, che l’idea di Salvini di approfittare delle ferie ferragostane per far sciogliere le Camere e andare a nuove elezioni non poteva che trasformarsi in un boomerang doloroso ma inevitabile, nel momento in cui si fosse affacciata la possibilità di una nuova maggioranza. Niente di più di una scommessa al buio, fondata sulle debolezze di M5S e PD; dopo di che tutte le dichiarazioni sul popolo bistrattato e sull’attaccamento alle poltrone non aggiungono niente di nuovo né ai tanti messaggi social del capo della Lega né alle proteste che ogni minoranza è tenuta a esibire, per dovere di firma, in situazioni come questa.
Azzardata, quindi, e autolesionista è stata la decisione di far spuntare dal nulla una crisi di governo che solo lo stesso Salvini poteva innescare, data la condizione di assoluta sudditanza in cui si erano venuti a trovare Di Maio e il suo movimento all’indomani delle elezioni europee, se non durante tutto l’anno o poco più di governo giallo-verde. Ma i numeri usciti dalle europee contano dal punto di vista degli equilibri parlamentari poco più dei sondaggi: è vero, sono numeri reali, ma non spostano di un millimetro i rapporti di forza all’interno delle Camere.
Detto questo, per rispondere anche alle prime due domande, restano inalterati i dubbi e le perplessità politiche in merito al nuovo governo. Due debolezze possono fare una forza? I margini ci dovrebbero essere, soprattutto dopo la strigliata di Grillo. Certo, Di Maio o chi per lui non può continuare a crogiolarsi nella nostalgia di un governo basato su di un contratto che permetteva alle due parti di portare avanti, in modo quasi indipendente, provvedimenti non condivisi all’origine. Parole come ‘compromesso’ e ‘trattativa’ dovranno essere inserite nel vocabolario pentastellato.
Il PD, da parte sua, – ma vale anche la sinistra-sinistra – è chiamato ad una compattezza sulla quale, almeno fino a poco tempo fa, nessuno avrebbe scommesso un centesimo e ancora oggi pochi sarebbero quelli disposti a puntare cifre ragguardevoli. Starà in primis a Zingaretti riuscire a disinnescare la bomba a tempo che tutti vedono nelle mani di Renzi. La strada maestra sembra essere quella del “buon governo” perché l’alternativa, a quel punto, starebbe solo in nuove elezioni politiche.
Antonio Ricci