La festa di S. Biagio a Jera
La facciata della chiesa di Iera
La facciata della chiesa di Iera

San Biagio, vescovo di Sebaste, in Armenia, martire attorno al 316, di cui si conoscono notizie tramandate oralmente, gode tuttora di larga popolarità per aver salvato, con un miracolo compiuto mentre veniva condotto al martirio, un fanciullo che stava morendo soffocato da una lisca di pesce conficcata nella gola. Questo episodio gli valse la fama di taumaturgo; in particolare, quella di guaritore dal mal di gola.
Nella vallata bagnonese Jera è la frazione legata al vescovo Biagio: case in pietra che conservano le antiche memorie fra voltoni, portali eleganti, larghe aie e lo scorrere delle limpide acque del Bagnone. Sfogliando le pagine dei ricordi, la festa di S. Biagio raccoglieva a Jera un elevato numero di fedeli che giungevano dai vari paesi dei dintorni, partendo al mattino presto per poter partecipare alla S. Messa solenne delle 11, celebrata “in terza” e accompagnata dai canti intonati da donne, uomini e giovani.
Nonostante i rigori del freddo, abituali perché s. Biagio è l’ultimo “mercante della neve”, nel pomeriggio nessuno mancava al canto dei Vespri ed alla processione con la statua del santo. Jera si trasformava: ogni finestra tornava a spalancarsi, ogni porta ad aprirsi per il rientro in massa dei “barsan”, emigrati soprattutto in Piemonte ma legati alle tradizioni dei padri e solleciti nel mettersi in fila per la benedizione della gola, con due candele incrociate.
Al termine delle funzioni religiose sosta “obbligata” nell’osteria del paese, dove fra il fumo delle sigarette, si consumavano bevande calde e dolci casarecci. La sera proseguiva con il ballo al suono di un’orchestrina locale, che aveva lo scopo di far ritrovare gli amici emigranti e chi era rimasto “a cà”.
Anche quest’anno la comunità di Jera, pur sempre più ridotta, si è radunata attorno al patrono. La chiesa non era certamente gremita. Troppe le assenze, troppi i conterranei passati a miglior vita: ormai siamo arrivati alla terza generazione dei pionieri emigrati per cui i legami con il borgo di origine si sono allentati.
Il parroco, don Angelo Boattin, ha ricordato gli episodi salienti della vita del Santo. “S. Biagio, ha detto, ci ricorda che Gesù è l’unico nome nel quale troviamo salvezza. Solo lui ci libera dal male per condurci alla vera felicità. Donandoci la vita, il maestro ci comunica la sua stessa capacità di amare, fondamento di un’esistenza piena”.
Attorno il candore della neve e l’aria pungente. Unici elementi rimasti di quel mondo agreste-pastorale ormai lontanissimo.

(Ivana Fornesi)