Sere fa gli storici locali Germano Cavalli e Riccardo Boggi hanno intrattenuto, nel bar-trattoria di Anna Maria a Vico, un folto pubblico interessato ad ascoltare la dettagliata narrazione legata al fuoco ed ai “suoi” riti. Sappiamo che l’arte di accendere il fuoco è remotissima nella storia dell’umanità.
Nello scorrere del tempo esso è stato fatto oggetto di culto e venerazione. Presso i romani la sua conservazione era affidata alle Vestali ed il suo spegnimento considerato una grave iattura. Nel mito greco di Prometeo, il fuoco aveva assunto il significato di conquista di altissimo valore per l’uomo e quando Prometeo lo ruba a Giove, per beneficarne gli uomini, il dio irato lo incatena. Al fuoco sono connesse svariate manifestazioni folcloristiche e non.
Nella storia delle religioni, da epoche immemorabili, esso aveva carattere sacrificale e purificatore assumendo particolare importanza nel rito funebre della creazione. Nel mondo cristiano, il rogo venne utilizzato per fermare le teorie contrarie all’ortodossia cattolica, ossia le eresie. Condanne capitali anche per la “caccia alle streghe” che tanto dolore hanno causato. A spingere per l’orrore del rogo contribuirono pesantemente rapporti sociopolitici.
Da parte della Chiesa, lungi dal difenderla, tanto che gli stessi ultimi pontefici continuano, giustamente, a chiedere perdono per il male subìto da troppe persone, ci furono tenui tentativi di equilibrio senza risultati concreti. Né si può scordare lo scempio legato al rogo dei libri (biblioclastia), pratica spesso promossa da autorità politiche o religiose, legata al fanatismo ideologico, sinonimo di distruzione dell’intelligenza e della libertà. Il fuoco, dunque, che distrugge, spaventa, uccide … ma che, nel contempo, facilita la vita. Ad esempio resta di grande aiuto nell’agricoltura. I contadini, infatti, praticano l’uso del debbio che consiste nel bruciare le stoppie dei cereali, dopo la mietitura, oppure la cotica erbosa di prati e pascoli, allo scopo di migliorare i terreni agricoli.
Per citare fuochi, rituali e falò più vicini a noi, come quelli di San Nicolò, di Sant’Antonio Abate, di San Geminiano, di Carnevale… essi mantengono funzione purificatrice ed augurale, fortemente radicata nelle tradizioni lunigianesi. In occasione della festa di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio, protettore del bestiame, non si può non citare la malattia denominata “fuoco di Sant’Antonio”. Una terminologia applicata “all’herpes zooter”, infezione cutanea molto fastidiosa. Nell’iconografia “il fuoco di Sant’Antonio” si è trasformato in fiamme: da qui la qualifica del Santo anche protettore degli incendi.
Per svolgere l’attività di assistenza agli ammalati, fu concessa, nel 1297, all’Ordine dei Canonici di Sant’Antonio, sotto la regola di Sant’Agostino, la facoltà di allevare maiali in quanto, con il lardo, preparavano il balsamo di Sant’Antonio per curare le piaghe. Parlando del fuoco nella Sacra Scrittura, i bravi relatori hanno fatto riferimento al roveto ardente di Mosè, alla Pentecoste, alla Messa della vigilia pasquale… chiari riferimenti alla Luce vera del mondo: Gesù.
Come chiosa, commovente e toccante, il “Cantico di frate Sole, o delle creature” di San Francesco d’Assisi. Quella che voleva essere per il Poverello una semplice preghiera è divenuta una delle maggiori creazioni della poesia di ogni tempo. Un continuo passaggio dal Cielo alla terra, un incessante movimento d’amore fra l’uomo singolo e la bellezza e la perfezione della Creazione. “Laudato si, mi Signore, per frate Foco, per lo quale enn’allumini la nocte: ed è bello e iocondo e robustoso e forte…”
Ivana Fornesi