Il “governo del cambiamento” ora alla prova dei fatti

È giunta a conclusione la lunga crisi politica iniziata dopo le elezioni del 4 marzo

23Mattarella_e_MinistriA tre mesi dalle elezioni del 4 marzo, si è insediato il governo della XVIII Legislatura. Il partito di maggioranza relativa, rivendicando la prerogativa di formare l’esecutivo, ha promesso un “governo del cambiamento”, slogan azzeccato fin dall’innovativo iter per giungere al giuramento dei nuovi ministri: tentativi di accordo, separazioni, richieste di tempi supplementari al Presidente della Repubblica nel momento in cui era in fase avanzata la formazione di un esecutivo tecnico.
E poi ancora: la stesura del “contratto”, l’individuazione della figura di un esecutore, ben lontana dal ritratto di presidente del Consiglio contenuto nell’articolo 75 della Costituzione, il braccio di ferro sul ministro dell’Economia, la rinuncia all’incarico da parte del professor Conte, un nuovo incarico, una nuova richiesta di udienza da parte di Lega e Cinque Stelle, ritornate sui loro passi dopo gli irrigidimenti sul nome di Paolo Savona e sulla messa in stato di accusa (con processo sommario sulla piazza virtuale) di Mattarella.
Una saga che avrebbe avuto il sapore della comica se non fosse stato per la drammaticità della situazione. In questo contesto è emersa in tutta la sua saggezza il presidente della Repubblica. Senza eccessi di decisionismo ha saputo guidare in modo autorevole una crisi di governo complicatissima, esercitando le sue prerogative sempre nell’alveo della Costituzione, con l’unico obiettivo di dare al Paese un governo politico.
Come altri suoi predecessori, pagherà un prezzo personale per la sua pretesa di nominare un ministro dell’Economia che, sia pure nei legittimi orientamenti della maggioranza, non danneggiasse gli interessi del Paese. Il governo nato sotto la guida del professore foggiano Giuseppe Conte dovrà mostrare in poche settimane i suoi reali orientamenti.
23Conte_QuirinaleIl G7 in Quebec e il Consiglio Europeo di fine mese daranno un’idea di come il governo giallo-verde intenda muoversi sulla scena mondiale ed europea. È sul terreno internazionale che transitano tante delle proposte che Lega e 5 Stelle continuano a propagandare come se fossero ancora in una campagna elettorale di opposizione: immigrazione, profughi, conti pubblici, posizionamento del Paese nell’incerto scacchiere geopolitico, tutela del made in Italy, sono tutti temi i cui esiti non sono determinabili con sparate sul blog grillino o sul prato di Pontida.
Vi è inoltre un quotidiano che attende risposte concrete e non uscite per conquistare titoli sui giornali o compiacenza dal troppo ascoltato popolo dei social network e da questo punto di vista la partenza non è stata delle migliori. Dalla frase “per i migranti la pacchia è finita” nelle ore dell’ennesima tragedia del mare al silenzio di premier, ministro degli Interni e ministro del Lavoro sull’uccisione a fucilate di un sindacalista (di colore) dei braccianti agricoli nella terra di nessuno di Rosarno, emerge il sospetto che il salto dal ruolo di demagoghi a governanti non sia ancora stato compiuto.
Così come le dichiarazioni del ministro per la Famiglia sulle unioni omosessuali offrono l’idea di un tema, quello delle politiche familiari, che sarà brandito nuovamente , come ai tempi dei governi Berlusconi-Bossi (già: la Lega è già stata al governo 10 anni) come paravento identitario, senza una reale intenzione di implementare politiche più efficaci di quelle dei bonus. C
erto non mancano ministri di chiara affidabilità, come Moavero agli Esteri o Buongiorno alla Pubblica Amministrazione, o altri con un passato encomiabile, come il responsabile dell’Ambiente Sergio Costa. Controbilanciati però dalle riserve sui ministeri economici (Economia, Sviluppo e Lavoro), cioè quelli dove si gioca la tenuta di un Paese che siede – facendo finta di dimenticarlo – su 2 mila miliardi di debito pubblico e che ogni anno deve convincere gli investitori a rinnovarne 400. Una mossa sbagliata in questo ambito potrebbe essere più dannosa di tante altre buone riforme.

Davide Tondani