È molto strano quello che sta accadendo in relazione ai tentativi di Lega e M5S di dare un governo all’Italia: quando sembra che siano giunti vicini alla soluzione, accade qualcosa che rimette tutto in discussione; di mano in mano che i tentativi si rinnovano, le due forze politiche perdono per strada qualche pezzo dei programmi elettorali dagli stessi definiti “non modificabili”.
Abbiamo già sottolineato l’errore di origine: parlare da maggioritario in un contesto che tale non è; non ci torneremo sopra. Ci preme di più approfondire alcune ulteriori incongruenze emerse negli ultimi giorni di trattativa.
“Mai più un governo guidato da un tecnico, non votato dal popolo”: più o meno così avevano iniziato. Oggi apprendiamo che nell’ultimo colloquio con il presidente Mattarella (sempre più vicino a diventare un novello Giobbe) il nome proposto è quello del prof. Giuseppe Conte, che tutto può essere tranne un politico scelto dagli elettori.
La cosa rischia di aggravarsi se non giungeranno a breve smentite perentorie alle accuse di false indicazioni inserite dal professore nel curricolo personale riguardo a specializzazioni presso prestigiose università straniere.
L’urgenza di dare un governo al Paese (unita alla necessità di salvare la faccia) fa inoltre passare in secondo piano lo stravolgimento delle norme costituzionali: non sono i partiti ad indicare i nomi (né del presidente del Consiglio né dei ministri) al presidente della Repubblica; la Costituzione dice che quest’ultimo “nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i ministri”. L’idea di un “pacchetto” preconfezionato che il presidente debba semplicemente “vistare” non vale per nessuna versione (prima, seconda, terza…) di repubblica.
Si potrebbe essere d’accordo sul respingimento dei “consigli” e delle “preoccupazioni” espresse dai partner europei: impensabile che dietro possa esserci solo l’amore per il Bel Paese. C’è, però, un aspetto che dei politici seri e impegnati a fare il bene dell’Italia non possono trascurare quando affermano di non voler accettare vincoli sul controllo del debito pubblico.
A prescindere dalle colpe da attribuire per il suo continuo aumento, non si può far finta di non sapere che lo stesso viene coperto con l’emissione di titoli di Stato: se questi vengono acquistati, si può continuare a respirare, se no sono guai e il fattore sul quale l’acquisto si basa è la fiducia dei mercati nella capacità dell’Italia di evitare la bancarotta.
Si potrebbe concludere che tutti questi vincoli rendono difficile trovare soluzioni valide per lo sviluppo del Paese: proprio per questo, dopo aver demonizzato governi e politici che li hanno preceduti, i nostri due dovrebbero dimostrare di saper avanzare proposte realizzabili e non solo slogan da campagna elettorale.
Antonio Ricci