Lei…, racconto di primavera di Giulio Armanini

Francesco, con i suoi tredici anni, era il più giovane di casa: a giorni alterni andava al monte dagli animali. C’era quella storia dei briganti che avevano assalito un gruppo di viandanti; una giovane e bella ragazza, dai lunghi capelli biondi,  era rimasta gravemente ferita ed era morta dopo ore di tormento.

12CasalinaLa giornata era splendida. La primavera stava trasformandosi in un’estate incipiente, rigogliosa; la stagione con il suo tepore e la campagna con le sue varie tinte davano il meglio di sé. Alle diverse tonalità del verde facevano contrappunto i colori, ora tenui, ora smaglianti, di fiori sbocciati qua e là, quasi la mano di un artista li avesse disposti in uno schema solo apparentemente casuale.
Solo da pochi giorni gli animali avevano lasciato le stalle per salire verso i prati più in alto, verso il monte, dove sarebbero rimasti, allo stato brado, fino a quando i primi freddi e le piogge persistenti dell’autunno li avrebbero ricondotti al calore accogliente dei loro ricoveri. E ad un’alimentazione nella quale il fieno stivato in estate avrebbe sostituito la, per loro, ben più gradevole erba fresca delle quote più elevate.
Francesco, con i suoi tredici anni il più giovane di casa, aveva ricevuto un incarico nell’ambito di un’economia di famiglia a carattere prettamente agricolo, nella quale tutti avevano le proprie mansioni. E siccome le lezioni a scuola non erano ancora terminate l’incarico doveva essere compatibile con i ritmi e gli orari imposti dalla frequenza di queste.
Andare, a giorni alterni, verso il monte, capire dove erano gli animali (quattro manze piuttosto vivaci, che non gradivano per nulla restare troppo a lungo negli stessi luoghi…), verificarne di persona lo stato, ricondurle più in basso o nell’area di pascolo di competenza del paese, se si erano allontanate troppo: questo era il suo compito. E quella sera gli toccava svolgerlo. Non che gli spiacesse. Anzi.
Era, quella, un’ottima occasione per staccarsi dai libri scolastici per qualche ora e, soprattutto, per sfuggire ai continui richiami della madre, che non la smetteva di richiamarlo ai suoi “doveri di studente”. “Hai finito di studiare?” “Li hai fatti i compiti?” “Sta attento, ché, se domani ti interroga…” Tra una faccenda di casa ed una zappata nell’orto, la donna non perdeva l’occasione per un richiamo quasi ossessivo. E Francesco, che per la scuola si sentiva la coscienza tranquilla, alla sera, proprio non ne poteva più di quel ritornello! Così la salita verso il monte gli appariva più una benedizione che una fatica.

Foto Walter Massari
Foto Walter Massari

Quella sera si incamminò, che era già un po’ più tardi del solito, ma il sole splendeva ancora luminoso, inondando di luce chiara la vallata. E, poi, al paese superiore aveva incontrato Paolo e con lui si era fermato qualche minuto.
Le ultime partite del campionato di calcio e l’ultima tappa del Giro, con una spettacolare volata nella quale i velocisti si erano contesi spasmodicamente il traguardo, erano argomenti troppo ghiotti; dovevano essere trattati con la dovuta attenzione. Poi via di corsa, verso i prati, dove giunse quando il sole era già basso sull’orizzonte e le ombre si facevano lunghe, lasciando vivi solo i colori dei crinali. E di quelle maledette vacche, nessuna traccia! I quattro animali ormai si erano preparati per trascorrere la notte.
Accovacciate in una radura, le manze ruminavano tranquillamente e solo di tanto in tanto, per scacciare la molestia di qualche insetto con un movimento più brusco del collo, facevano appena tintinnare i loro campanacci. Era davvero un problema scoprirne la posizione. E Francesco neppure poteva tornare a casa dicendo di non averle trovate. Allora, oltre alle rampogne della madre sulla qualità ed i tempi del suo studio, avrebbe dovuto subire anche quelle del resto della famiglia. Il ragazzo si portò su un poggio e rimase in silenzio, attento a cogliere un possibile tintinnio che gli facesse individuare gli animali e gli risolvesse i suoi problemi.
Frattanto il sole stava calando. Verso occidente il cielo si tingeva di rosato, ad est solo le cime più alte della catena appenninica restavano illuminate dal sole e, giù, verso la valle, le ombre avevano uniformato il paesaggio. Lentamente la campagna si faceva silenziosa, preparandosi alla notte che sopraggiungeva. “Tan… Tan…”. “Quella è la campana della Moretta”. Se lo disse ad alta voce, quasi lo gridò, per la gioia di aver quasi risolto il proprio problema. Ora si trattava di percorrere un po’ di strada, scendere verso il ruscello, risalire il costone di fronte, individuare gli animali, verificare se c’erano tutti e quattro e, quindi riprendere la strada verso casa.
Ci sarebbe voluto quasi un’oretta e sarebbe arrivato al paese a buio, ma questo non lo preoccupava: Francesco conosceva tutti i sentieri… Non si sarebbe di sicuro smarrito. Risalì il poggio, ma tutto era silenzio. “Si sono fatte silenziose, le bestiacce…”. 

12MarmagnaAi ripetuti richiami lanciati da Francesco le quattro manze non si degnavano di dare risposta alcuna. Il ragazzo percorse in lungo ed in largo il declivio, mentre il buio avanzava e le prime stelle comparivano nel cielo, finché il suono di un campanaccio, proprio dietro di lui, lo tolse d’impaccio. Controllò che tutto fosse a posto e si incamminò, a passo svelto, verso casa. Il sentiero si vedeva appena, gli alberi sembravano, con i loro rami nodosi, degli strani mostri che sembravano quasi voler acchiappare il passante.
Il silenzio del bosco… non era silenzio. Animaletti che si muovevano producendo un frastuono inusitato, schiocchi strani provenienti dai tronchi rinsecchiti, strani sibili generati dal muovere di leggere folate di vento che parevano venire dal cielo sempre più scuro. Un mondo diverso dal consueto stava presentandosi ai suoi sensi ed una qualche inquietudine ad insinuarsi nella sua mente.
E, poi… Poi c’era la storia, più volte raccontata dai vecchi del paese, di quel torrente sulle rive del quale, in epoca ormai remota, si era svolta una terribile vicenda. Un gruppo di briganti, di quelli che infestavano le strade percorse da coloro che, a piedi, volevano varcare l’Appennino, aveva assalito un gruppo di viandanti e, oltre a derubarli, ne aveva uccisi alcuni, fra le quali alcune donne. Anzi, una di queste, una giovane e bella ragazza, dai lunghi capelli biondi che le incorniciavano il viso, era rimasta gravemente ferita ed era morta dopo ore di tormento, lasciando il suo sangue sui sassi, che da allora erano rimasti di un colore rossiccio.
E, quando la luna piena rischiarava la notte, si sentivano i lamenti di quella ragazza risuonare negli anfratti della montagna. Ed allora tutto il bosco taceva: si fermavano gli animali notturni, le fronde dei faggi cessavano di stormire: solo quel piangere cupo sulla vita che si allontana nella solitudine del dolore.
E se qualcuno si fosse trovato da quelle parti quando il pianto di Lei si fosse levato, non avrebbe potuto proseguire. Sarebbe stato ghermito da Lei, la avrebbe dovuta accompagnare nell’ignoto della morte. E tanti non erano tornati. Non gente del paese, che quella storia conoscevano e ben si guardavano dall’addentrarsi in quel bosco nelle notti in cui la luna cambiava i contorni delle cose con la sua luce diafana, ma ignari viandanti, passati all’imbrunire dal paese ed incamminatisi verso un destino solitario. Comunque si muore da soli…
12mulattiera“Tutte storie…” si disse Francesco, non sapendo bene se credendoci o per farsi coraggio, mentre il sentiero scendeva verso il torrente, del quale ormai si percepiva il sommesso, tranquillo gorgoglio. Improvvisamente il silenzio si era fatto totale. Non un brusio del bosco. Soltanto quel mormorio di acqua che scorre lungo l’antico cammino a fare da sottofondo al rumore dei passi di Francesco, che, inconsapevolmente, si erano fatti più affrettati. Il ragazzo si fermò.
Ormai, se non ci fosse stato il chiarore della luna, il buio sarebbe stato totale. “Se non mi fossi fermato con Paolo….”, “Se quelle quattro bestiacce maledette non mi avessero fatto girare mezzo monte…”. Non voleva neppure aggiungere: “… ora non mi troverei in questa situazione, col rischio di incontrarla…”. Francesco si accorse che questi pensieri gli uscivano ad alta voce. Quasi per chiuderne lo scorrere, si disse: “Ma Lei non esiste, è un’invenzione di quei vecchi creduloni…”.
Ad ogni buon conto decise di risolvere il problema con una sorte di mediazione. Lei non esisteva, ma non sarebbe stato male ridurre al minimo ogni rischio, quanto meno in termini di tempo. E giù, di corsa, verso il torrente.
Fu allora che Lei si manifestò. All’improvviso un grido terribile sconvolse la quiete del bosco. Un grido ripetuto, stridulo, che si perdeva, ripetendosi all’infinito nella notte, salendo sempre di più verso l’alto, quasi volesse raggiungere quel globo chiaro che, dal cielo, con la sua luce variamente filtrata dalle fronde dei faggi, illuminava la scena di una morte consumatasi chissà quanti anni prima.
E Lei non voleva continuare a morire sola. Lo voleva con sé, a consolarla, a tenerle la mano. Per sempre. Ma lui non era d’accordo. Lì non si sarebbe fermato. Era bella, era dolce,…, ma chi la conosceva quella là? Per quanto stava a lui, in quel luogo a gridare e piangere Lei ci sarebbe dovuta restare, da sola, fino alla consumazione dei secoli! Si girò e riprese a correre, ma nella direzione opposta, ripercorrendo di corsa, in salita, il tratto di sentiero poco prima percorso in discesa, fermandosi solo quando il mormorio del ruscello non si udiva più.
Il cuore gli batteva all’impazzata, un po’ per lo sforzo, ma molto di più per la paura. Ma le era sfuggito. E non lo avrebbe mai più ripreso! Di lì, di notte (e, forse, neppure con il solleone…) non ci sarebbe mai più passato! Lontano si sentiva ancora, di tanto in tanto, quel grido stridulo che gli aveva gelato il sangue nelle vene. Ma lontano…
Ora bisognava tornare a casa. Francesco ripassò con la mente tutti i possibili itinerari che avrebbe potuto percorrere per arrivare al paese. Li raffrontò con i luoghi delle tante storie di “là ci si sente…” o “là ci si vede….”, o anche “là c’è…” che aveva ascoltato dagli anziani. Non si sa mai che, nella fretta, per sfuggire da Lei potesse incappare in qualche altro essere delle tenebre pronto a ghermirlo nella notte rischiarata dalla luna… Sarebbe stata una beffa tremenda. Scelse l’itinerario più lungo.
Lo avrebbe riportato in alto, sul monte, poi su un altro sentiero, che scorreva lontano, più aperto. E soprattutto attraverso luoghi per i quali non aveva mai sentito dure che fossero infestati da alcunché di simile a Lei… Lei che ancora si sentiva gridare, sempre più lontana, stridula, forse anche ritornata verso il torrente, là dove quella dolorosa vicenda di morte, chissà quanti anni prima, si era consumata nella solitudine. Giù, a casa la preoccupazione era ormai tanta.

Foto Walter Massari
Foto Walter Massari

Nel paese si era sparsa la voce di quel ragazzo salito al monte quando il sole era ancora alto nel cielo e che ora, a notte inoltrata, non aveva fatto ritorno. Non solo i familiari erano in agitazione. La sorella più grande era salita al paese più in alto per verificare che non si fosse fermato con qualche amico. Prima, quando era ancora pienamente giorno lo avevano visto. Si era fermato per un po’… Ma ormai sarebbe da tempo dovuto essere a casa, anche se fosse dovuto andare nel luogo più lontano… Avevano provato a gridare a gran voce il suo nome, ma nessuna risposta era venuta dai boschi che ricoprivano le pendici del monte. “
Sarà caduto…”, “Si sarà fatto male…”, “La vipera…”, “Il cinghiale…”, “Il lupo…”. Tutte le ipotesi più fantasiose, le più tragiche si facevano avanti. Ed assieme le recriminazioni. “Ma chi ce l’ha mandato un ragazzino da solo sul monte…”. “E chi li ha fatti ritornare i lupi, da queste parti…”.
Si stavano organizzando per andarlo a cercare. Ma dove? Sul monte… Ma da quale parte del monte? Alla fine ci si accordò per raggiungere un poggio, là accendere un fuoco e di là gridare per verificare se avesse risposto. Ci fu anche chi propose di portare su una tromba per lanciare segnali che avrebbero rotto definitivamente il silenzio della notte.
Fu allora che comparve Francesco. Veniva da tutt’altra parte rispetto a ciò che si potesse presumere. Sudato, affannato, quasi spiritato si gettò sulla madre gridando: “C’era Lei. Mi aveva quasi preso, ma le sono scappato. Gridava stridula, si lamentava. Sembrava la stessero ammazzando anche questa notte. Ma le sono scappato…”. E giù un pianto dirotto. Liberatorio.
Toccò al padre consolarlo. Ne ebbe di voglia, quella sera, di spiegare al figlio che Lei non esisteva, che era un’invenzione tramandatasi nelle veglie d’autunno, quando la gente del paese si ritrovava davanti al fuoco e sommo divertimento degli anziani era quello di spaventare i bambini (e non solo loro…) con storie di morti che parlano, di animali mostruosi e magici, di spiritelli burloni o malvagi.
Francesco Lei l’aveva sentita bene. Anzi ne aveva percepito il tocco sulla gamba. Un tocco lieve, quasi morbido. Ma accompagnato da quel grido che lo aveva annichilito. Poi il sonno lo prese. Vide Lei che lo voleva agguantare. Sentì sulla gamba il suo tocco morbido. Immaginò i suoi capelli biondi che le incorniciavano il visetto gentile. Riudì nell’inconscio quel grido stridulo che saliva, quasi volando fra i rami degli alberi, verso l’alto. Lei lo perseguitò per buona parte di un sonno inquieto e tormentato.
Il mattino dopo non scese in città per la scuola. In fondo poteva permetterselo, dopo quanto gli era accaduto… Si alzò tardi e trovò suo padre che lo aspettava, con uno strano sorriso che gli increspava le labbra. Fece colazione e, quando si aspettava di essere lasciato ancora un po’ a poltrire, ecco suo padre che lo invitava a seguirlo.
“Vieni, andiamo a cercarla…”. “A cercare chi? Lei?” Francesco si sentì morire. Lo aveva giurato a se stesso che in quel luogo non ci sarebbe mai più passato, neppure in una giornata di pieno solleone. Ma suo padre appariva irremovibile. E, poi, c’era anche lui, che lo avrebbe difeso. Ma sarebbe bastato? Cincischiò un po’. Quindi comprese non era più il caso di farla troppo lunga e che, forse, era meglio accorciare i tempi. Tanto valeva confrontarsi subito coll’ignoto…
Risalì verso il monte. La luce del giorno rendeva i contorni delle cose più familiari. I rami degli alberi, le pietre, i rumori del bosco non erano più ostili come la notte precedente. Arrivarono là dove il sentiero cominciava a scendere verso il torrente dove Lei lo aveva quasi catturato. Se ne sentiva il gorgoglio, ma era un suono pacifico, che si intrecciava con il canto degli uccelli e con lo stormire del vento tra le fronde degli alberi più alti. Francesco si fermò di botto.
Suo padre continuava tranquillo, scendendo verso laggiù, dove Lei aveva cercato di ghermirlo. Quando l’uomo oltrepassò il piccolo corso d’acqua, il ragazzo si fermò di botto. Troppi ricordi ancora del tutto vivi gli impedivano di proseguire. Era giorno, la luce era quella calda del sole, i rami degli alberi proiettavano al suolo ombre amiche, non si udivano strani rumori tali da turbare i sensi.
Ma chi poteva essere sicuro che, nascosta da qualche parte, in un anfratto o dietro un tronco d’albero, ci fosse Lei, pronta a lanciarsi di nuovo sulla preda e, per di più, desiderosa di rifarsi dell’insuccesso patito nella notte precedente? Meglio non rischiare troppo!
Il padre si accorse che Francesco non intendeva proseguire; tornò indietro, lo prese per mano e si incamminò di nuovo, quasi trascinandolo, verso il luogo dal quale il ragazzo, in preda al terrore, aveva iniziato la sua fuga precipitosa.
Ancora pochi passi. Arrivarono lì. A terra morbide piume di una civetta, che, colpita da un terribile calcione, se ne era volata via lanciando il suo grido stridulo, per trovare ricovero su un albero, là dove, al riparo da analoghe esperienze, aveva continuato di tanto in tanto a emettere il suo verso nella notte.

Giulio Armanini