Forti emozioni a Pontremoli nel pomeriggio dedicato alla comandante partigiana scomparsa nel luglio dello scorso anno. In tanti da Toscana, Emilia e Liguria: “Grazie, ci manchi”
Quando il volto di Laura Seghettini appare, tra il pubblico che affolla il teatro della Rosa cresce l’emozione. Partigiana in un mondo maschile, in mesi nei quali lottare per la pace e confrontarsi ogni giorno con la morte imminente faceva sì che una donna potesse combattere fianco a fianco con gli uomini senza che la differenza di genere creasse problemi o distinzioni.
Laura Seghettini è stata partigiana dal maggio 1944 fino alla Liberazione, un anno con la pistola e il mitra in mano; la sua voce ferma racconta di aver preso possesso di quelle armi con ritrosia e di non aver mai sparato a nessuno: sapeva usarle, ma solo “per fare del baccano”. Del resto Laura non combatteva per uccidere: lo faceva perché tornasse la pace e la libertà; anche per questo sui compagni del suo distaccamento aveva un ascendente tale che li spinse a volerla loro comandante e vice commissario dell’intera XII Brigata Garibaldi di Parma, caso quasi unico nel panorama della Resistenza italiana. Emblematico l’episodio dei prigionieri tedeschi catturati dai suoi uomini e fatti camminare fino a lei scalzi sui ricci delle castagne: non solo Laura fece loro una reprimenda ma li obbligò a scaldare dell’acqua e togliere una ad una le spine piantate nei piedi dei “nemici”.
Era evidente a tutti come Laura non fosse una donna comune: si era formata in quella casa di S. Cristina a Pontremoli dove il papà Italiano – ferroviere arrivato da Livorno e rimasto troppo presto vedovo con quella bambina di un anno e mezzo – l’aveva affidata alle cure della famiglia della moglie. Le idee socialiste e comuniste ogni giorno si diffondevano in quelle stanze a dispetto della dittatura fascista che opprimeva il borgo e alla quale la stragrande maggioranza dei pontremolesi si era adeguata. Laura assorbiva tutto e cresceva con una mente libera e aperta; una formazione che si completò nella parentesi in Libia dove si era trasferita al termine degli studi magistrali per seguire lo zio Natale costretto ad emigrare per cercare quel lavoro che il regime gli negava a Pontremoli.
Rientrata, iniziò la propaganda antifascista diffondendo volantini e copie clandestine dell’Unità; parlarva apertamente criticando il Regime e il Fascio locale. Non servì a nulla l’olio di ricino né i due imprigionamenti nelle carceri di Pontremoli e di Massa; scampò per poco al terzo, dal quale probabilmente non sarebbe uscita viva. Sapeva che nella zona di Cervara c’erano i partigiani: aveva già fatto avere loro provviste e vestiario; ora la sua lotta sarebbe continuata con le armi in pugno.
È celeberrima la foto che la ritrae sfilare a Parma, il 9 maggio 1945, alla testa delle truppe partigiane, così come è nota la sua storia sentimentale con Dante Castellucci, il comandante del “Picelli”, uno dei primissimi gruppi di “ribelli” organizzato fin dall’autunno 1943 nell’Appennino tra Parma e Pontremoli.
Vicenda fin troppo conosciuta: per decenni, infatti, una storia scritta da uomini ha descritto Laura solo come “la compagna di Facio”; eppure quel rapporto che segnò tutta una vita era durato meno di due mesi, fino alla fucilazione il 22 luglio 1944. Gli altri nove mesi di Resistenza Laura Seghettini li trascorse nel versante parmense dell’Appennino. Soltanto alla fine degli anni Novanta questa straordinaria attività partigiana fu divulgata; e se non fosse stato per la pubblicazione del libro “Al Vento del Nord” (Carocci, 2006), sarebbe stata una storia subito dimenticata.
Laura, come la maggior parte dei partigiani, aveva voltato pagina, decisa a non raccontarsi, per impegnarsi piuttosto in una quotidiana attività di educatrice: maestra elementare e maestra di vita, in lotta contro la disuguaglianza e la discriminazione, votata all’obiettivo delle pari opportunità: non solo quelle tra uomo e donna ma prima di tutto quelle che consentano di abbattere le barriere sociali che impediscono a chi ha scarse possibilità economiche l’accesso agli studi superiori e all’università o a lavori diversi da quelli dei padri e delle madri.
La pubblicazione di quel libro le diede una notorietà nazionale: poco prima dell’uscita in libreria il Presidente Ciampi la volle al Quirinale per nominarla Commendatore del Merito della Repubblica. Laura fu riconoscente, ma quell’onorificenza non la indossò mai. Però portò sempre con sé quella carezza che Ciampi le fece salutandola con affetto: in quel gesto c’era, finalmente, tutta la riconoscenza di un Paese intero.
Paolo Bissoli