
Domenica 26 novembre, XXXIV del tempo ordinario
(Ez 34,11-12.15-17; 1Cor 15,20-26.28; Mt 25,31-46)
Oggi è la festa di Cristo Re, voluta da Pio XI per sottolineare le differenze tra la regalità mondana e quella del Figlio. Il Suo Regno infatti prevede umiliazione, annichilimento e perfino disprezzo da parte di tutti. Nel suo essere Re, non sono inclusi gli agi, le sicurezze e le comodità usuali a monarchi e potenti di questa terra. Il Mago a Betlemme gli ha offerto l’oro, simbolo di regalità; ma era alloggiato in una scomoda grotta, non in una reggia sontuosa. Ancora in fasce è stato costretto a fuggire in Egitto con Maria e Giuseppe, senza le difese armate che i re della terra esibiscono in questi casi.
I suoi primi sudditi, i Giudei, lo hanno schernito, deriso, messo alla prova in più occasioni, fino a braccarlo e ad appenderlo sulla croce. Il suo regnare consiste nell’umiliarsi e nel restare sottomesso, anche quando potrebbe (e quanto lo vorremmo) far saltare i chiodi che lo trafiggono e discendere dalla croce: ma lui, il nostro Re, accetta il supplizio, l’abbandono e la morte. Proprio qui sta la sua regalità, perché il suo Regno si concretizza nell’amore e nella misericordia. Oggi parla ai discepoli di cosa succederà alla fine dei tempi: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.”
A coloro che sono alla propria destra, il Figlio dice: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”, mentre a quelli alla sua sinistra dirà: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.”
Entrambi i gruppi sono sorpresi da queste frasi. Dove mai si è visto il Figlio dell’uomo affamato, assetato, senza una casa, senza vestiti, malato o per di più incarcerato? Al che il Figlio risponde con una delle frasi più note di tutto il Vangelo: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me [e] tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me.”
Con questo, Gesù allo stesso tempo ribadisce che il fondamento di tutta la sua predicazione è nella relazione con il prossimo e conferma la differenza fondamentale di Dio Padre e Figlio e Spirito Santo rispetto alle divinità pagane. Non è raro, nei miti, leggere di dèi che, camuffati, visitano i mortali, spesso segretamente mettendoli alla prova per poi rivelarsi e ricompensare o punire la loro ospitalità. Il Figlio fa molto di più: ogni singola azione compiuta nei confronti di qualsiasi persona conta come compiuta nei confronti di Lui stesso. Alla fine dei tempi ci sarà un giudizio. E Dio ci giudicherà in base all’amore che siamo riusciti a dare, a Lui come ai nostri fratelli.
Pierantonio e Davide Furfori