Beato chi cammina nella legge del Signore

Domenica 12 febbraio, sesta del tempo ordinario
(Sir 15,16-21  Sal 118  1Cor 2,6-10  Mt 5,17-37)

Gesù_discepoliGesù non formula la promessa di un mondo fantastico e vacuo. E non esalta la sofferenza fine a se stessa. Vuole l’adempimento completo della Legge. Proseguendo ancora, dopo il discorso sulle beatitudini, e dopo aver spiegato ai discepoli che la fede senza testimonianza non è fede, fornisce un altro chiarimento: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti”.
Non vuole emendare la Legge dai commi che non ci piacciono, vuole realizzarla pienamente. Quella di Gesù non è una nuova religione, alternativa all’Ebraismo, ma è di questa il “pieno compimento”. Nulla di ciò che è stato tramandato da Abramo in poi viene rinnegato. Più di una volta, nella storia del Cristianesimo, questo è stato tristemente dimenticato.
Detto questo, ai discepoli il Maestro chiede qualcosa di più rispetto alla società ebraica: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. Segnala un rischio concreto, quello di vivere la Parola di Dio formalmente, e al ribasso, in modo moralistico e giudicante. È proprio ciò che stiamo vivendo in questi tempi.
Ma, oggi come allora, il Signore ci chiede di portare buoni frutti. Gesù è lo stesso ieri, oggi e sempre, ma il modo che abbiamo di accoglierlo, e di annunciare il suo Regno è in continua evoluzione. Il mondo cambia rapidamente, e una mentalità come quella degli scribi e dei farisei appare (ed è) legata ad un passato rassicurante. Genera tradizionalismo, non sequela. Non basta rispettare pedissequamente i comandamenti, bisogna andare oltre: ad esempio, non va condannato soltanto il gesto di uccidere, ma anche l’ira che ha condotto al gesto.
La società in cui Gesù viveva (e un po’ anche la nostra) era molto letterale con le proprie leggi: uccidere è sbagliato, ma finché uccidere resta un desiderio che non si mette in pratica, non c’è niente che non va, è “naturale”, “non ci si può fare niente”. Gesù chiede invece ai discepoli, e quindi ai Cristiani tutti, di esercitare autocontrollo anche nei confronti delle proprie pulsioni, come spiega con ancora un altro esempio: “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore”. Ma non si concludono qui le aggiunte: fare offerte all’altare, ovvero praticare la fede, è inutile se nel frattempo si ha uno screzio con un proprio fratello: affinché l’offerta sia valida, affinché la testimonianza sia reale, bisogna prima di tutto riconciliarsi con con quelli da cui si è subito, o a cui si è fatto, un torto. Non bisogna giurare, come se su ciò su cui si giura si avesse potere, perché non se ne ha alcuno, né sul cielo, né sulla terra, e neanche su se stessi.
E infine, ma non meno importante, un monito: “Sia il vostro parlare: ‘sì, sì’, ‘no, no’; il di più viene dal Maligno”. Mai come oggi questa frase mostra una profonda saggezza. La nostra società è immersa nelle parole, un mare in cui le informazioni vere sono una minima parte, e il resto è retorica fine a se stessa. Discussioni intere si basano non su fatti, ma su altre discussioni precedenti, in una spirale infinita. Il Figlio chiede un uso misurato delle parole, rispettoso del loro potere di comunicare informazioni, e di non perdersi in dibattiti, usando tempo che andrebbe invece speso a impegnarsi nella pratica a rendere il mondo migliore.

Pierantonio e Davide Furfori